Machshevet Israel – Un patto universale

Cosimo Nicolini CoenNei giorni scorsi si è tenuta all’università Bar Ilan una due giorni di incontri e workshops dal titolo “Scritture [kitve kodesh] – loro caratteristiche e collocazione nelle religioni”, organizzata dall’Associazione israeliana per la ricerca sulle religioni. Obiettivo di fondo degli incontri era quello di confrontarsi sui differenti approcci ai testi fondativi di differenti contesti religiosi e culturali – con un focus di rilievo ai tre monoteismi. Ad esempio, nella sessione di studio che, da semplice uditore, mi è capitato di seguire, diversi ricercatori e professori si confrontavano su tre diverse fonti – ebraica, cristiana, mussulmana – a partire dall’interrogativo specifico circa la memoria, o forse sarebbe meglio dire, riprendendo direttamente da “lizkor”, il ricordare. Rispettivamente: ricordo del patto contratto tra Dio e Noah; ricordo (ossia: non oblio) della figura di Gesù e di Allah. Rileva anzitutto come proprio a partire dalla religione, e non “nonostante” questa, vi siano, in Israele, occasioni di dialogo tra l’eterogena maggioranza ebraica e le diverse minoranze. Difatti il workshop vedeva la presenza, tra gli altri, di una ricercatrice araba mussulmana e di una cristiana (occidentale trapiantata all’università di Tel Aviv) così che lo scambio di opinioni su testi, esegesi e significati, diventava, in loro presenza, qualcosa di più e di differente dal solo approfondimento accademico. Naturalmente, si potrà osservare, ciò avviene anche nell’Europa laica del mondo accademico e nell’Europa cristiana del post Concilio II (gli incontri in Ambrosiana, parlando per la mia città, ne sono un esempio). La distanza tra le due sponde del mediterraneo segna però anche il differente significato, almeno da ciò che potremmo azzardare a dire punto di vista ebraico. In effetti in Europa si è minoranza ospitata e accolta – dove tale accoglienza può essere, in virtù di una certa concezione di universalismo, presupposto per un appello a ‘superare i particolarismi’. In Israele i rapporti di forza si invertono, con ciò che ne consegue sul piano di opportunità e responsabilità. Questo per quanto concerne il significato del contesto. Vorrei però aggiungere, scontando sempre in questo genere di riflessioni un debito verso Davide Assael, una nota nel merito – e che è tuttavia in diretto rapporto a quanto sopra osservato circa le modalità del dialogo. Nelle fonti dei tre monoteismi discusse nel workshop* era riscontrabile, a mio avviso, questa differenza: dove le fonti cristiane e mussulmane parlano, ognuna attraverso i riferimenti di carattere teologico che le sono propri, della rammemorazione di un Dio unico la cui ‘conoscenza’ comporterà, rispettivamente, l’adesione o al Cristianesimo o all’Islam, le fonti ebraiche ricordano un patto, quello con Noah e le sue discendenze che, come noto, non implica (per quanto possa esserne presupposto) il trovarsi coinvolti nel/l’aderire al patto del Sinai. Senza che ciò implichi l’assenza di strumenti per pensare la tolleranza verso il diverso nei due monoteismi citati, o l’assenza dell’intolleranza (fosse anche solo teorica) in ambito ebraico, tale aspetto segnala, dalle fonti e oltre queste, sul piano di una riflessione autonoma, come in luogo di dover associare universalismo e unicità (del Nome) a ‘identità’ (nel senso etimologico del termine, assenza di differenze), sia proprio un universalismo composto da distinte collettività, e individui, a presentarsi quale condizione per un dialogo che non abbia altro fine che il dialogo stesso.

*Bereshit 9, Midrash Tanchuma – Noah 6, Berachot 59; Luca 22: 14-20, Timoteo 1: 2- 7, 2-8 -13; Corano, Al Baqara 149-153, Al Hashr 18-24.

Cosimo Nicolini Coen