chametz…

Siamo nel vivo dei preparativi per Pesach, nelle pulizie accurate per rimuovere dalle nostre abitazioni ogni traccia di chametz, di sostanza lievitata. È noto che il chametz simboleggia anche i sentimenti ed i fermenti negativi che risiedono dentro di noi, che analogamente al chametz in natura vanno ricercati e possibilmente eliminati. È verosimile che qualche traccia di questo “chametz”, nascosto nell’animo, mi abbia incautamente indotto, in un precedente mio scritto, a riferirmi al Presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder, con il poco onorevole titolo di “sapientone”, per esprimere il disaccordo da alcune sue tesi; per questo sono stato in seguito severamente “bacchettato” da Anna Segre, la quale, a sua volta, nella foga di dimostrare inadeguato il mio giudizio, ha forse scoperto, anche da parte sua, qualcosa di questo tipo di “chametz”, attribuendomi giudizi superficiali, ignoranza e trascuratezza di dati fondamentali della storia e della realtà ebraica contemporanea, quali non credo fossero nel mio scritto e tanto meno ritengo mi appartengano. È un bell’esempio di “arevut hadadit”, di corresponsabilità ebraica. Ci aiutiamo vicendevolmente a trovare il chametz!
L’appunto di Anna Segre mi ha tuttavia sollecitato a ritornare sullo scritto di Lauder, il quale, almeno in alcune parti del suo scritto, esprime concetti effettivamente di estrema gravità, parlando di “capitolazione di Israele nei confronti degli estremisti religiosi” e lanciando capi di accusa contenenti affermazioni che, anche per chi voglia condividere giudizi critici nei confronti delle istituzioni religiose in Israele, appaiono chiaramente lontane dalla realtà, come: “La maggior parte degli ebrei al di fuori di Israele non sono accettati dagli ultra-ortodossi israeliani”. Il concetto che mi sembra più grave – e che certamente non appartiene al solo leader del WJC – è l’attribuzione ai mutamenti verificatesi nella società israeliana di responsabilità dirette e pesanti, non solo sull’allontanamento degli ebrei della diaspora dallo stato ebraico ma sulla crisi di identità e sul crescente processo di assimilazione che coinvolge tutte le comunità ebraiche nel mondo: “Sottoponendosi alle pressioni esercitate da una minoranza in Israele, lo Stato ebraico sta allontanando un ampio segmento del popolo ebraico – scrive il presidente del World Jewish Congress – La crisi è particolarmente pronunciata tra le giovani generazioni, che sono prevalentemente laiche. Un numero crescente di millennials ebrei, in particolare negli Stati Uniti, si sta allontanando da Israele perché le sue politiche contraddicono i loro valori. I risultati non sorprendono: assimilazione, alienazione e una grave erosione del legame tra comunità ebraica globale e la patria ebraica”. Ora la crisi nei rapporti tra la diaspora ebraica, soprattutto quella americana, e Israele è innegabile ma il problema dell’identità e l’assimilazione sono realtà laceranti nelle comunità ebraiche in modo assolutamente distinto dai rapporti con Israele, come dimostra il fatto che queste problematiche, soprattutto il decremento demografico direttamente conseguente all’assimilazione, erano assolutamente presenti anche negli anni in cui i rapporti con Israele erano idilliaci. La prossimità della festa di Pesach, con nuove riflessioni sul testo della Haggadà, mi sollecitano cercare di proporre un diverso tipo di impostazione del problema, partendo dal ben noto passo che dà inizio alla parte propriamente narrativa” “Questo è il pane dell’afflizione che i nostri padri mangiarono in terra d’Egitto: chiunque abbia fame venga e mangi; chiunque abbia bisogno venga e celebri Pesach. Quest’anno siamo qui, l’anno prossimo saremo in terra d’Israele; quest’anno siamo qui schiavi, l’anno prossimo saremo in terra di Israele, uomini liberi”. Questo brano, quasi in apertura del Seder, mentre compiamo gesti e pronunciamo parole che esprimono alcuni dei valori fondamentali dell’ebraismo, ci sollecita alcune domande e alcune riflessioni, perché, prima di tutto, quando diciamo: “Quest’anno qui e l’anno prossimo in terra d’Israele”, dobbiamo chiederci “perché quest’anno qui?” cioè perché la nostra scelta è “qui” e non “là”; soprattutto, visto che siamo nel pieno del Seder, e facciamo inequivocabilmente un’affermazione di identità ebraica, riflettiamo che questa espressione di identità non riguarda “questa sera” – perché non diciamo “halaila hazè –questa notte” – come nelle domande del “ma nishtanà”, bensì diciamo “quest’anno”, il che significa, forse: “come esprimo il mio essere ebreo, cosa si sviluppa da questo Seder, da questa Matzà, tutto il resto dell’anno” – “qua”, cioè nella realtà della diaspora, nella famiglia, nell’educazione dei figli, ma anche nella quotidianità dei rapporti – studio, lavoro, socialità – con il mondo non ebraico? Siccome poi guardiamo avanti per “l’anno prossimo in Terra d’Israele”, significa che “questo Seder e questa Matzà” – e tutto ciò che ne scaturisce – deve esprimere per me un essere ebreo che non sia solo “quest’anno qui” cioè che non sia legato in maniera indissolubile alla diaspora, che riconosca, almeno in via ipotetica, che la “golà” non è la dimensione ultima e assoluta dell’ebreo, e che mi solleciti quindi a chiedermi “in che cosa sono ebreo della diaspora e in che cosa sono ebreo e basta”, in che cosa sono ebreo perchè vivo nel mondo non ebraico e in che cosa sono ebreo pensando di partecipare anche da lontano e, forse, domani, direttamente a costruire una società ebraica in Terra d’Israele, nello Stato d’Israele, soprattutto un unico popolo ebraico? Poi la domanda più difficile, quella che viene dalla contrapposizione del “quest’anno qui schiavi”, rispetto a “l’anno prossimo liberi in Terra d’Israele”; significa riflettere in che cosa ci sentiamo liberi, tanto da poter dare inizio al Seder proclamando nel Kiddush che Pesach è ““Zeman kherutenu – tempo della nostra libertà” e in che cosa invece sentiamo limitata la nostra libertà.
Alla fine ti viene voglia di pensare ad un Seder che raccolga idealmente tutto il popolo ebraico, per scoprire quante cose ancora dobbiamo chiederci per capire veramente che cosa ci unisce e che cosa ci divide, che cosa significa essere ebrei “quest’anno qui” e anche “quest’anno in Terra d’Israele”. Soprattutto per partire dalle domande, piuttosto che dalle risposte.

Pesach Kasher Vesameach

Giuseppe Momigliano, rabbino

(28 marzo 2018)