Tra reale e virtuale
Appartenere alla generazione dei social network è una condanna e al contempo un privilegio. Funziona pressappoco come una grande, affollata, chiassosissima piazza. Una piazza molto simile al mercato del pesce, in cui vince il venditore che grida più forte. Funziona come un palazzo dalle pareti molto molto sottili, dove anche la più innocua delle discussioni rimbomba nelle case di tutti i condomini. Un palazzo dove è impossibile tenere nascosto un segreto, dove un tradimento viene scoperto prima ancora di essere stato compiuto, dove impari a riconoscere lo stato d’animo del vicino a seconda del ritmo dei suoi passi.
Ecco, per un ficcanaso come me, passeggiare in una piazza tanto chiassosa è uno straordinario privilegio, ma è anche la peggiore delle condanne, come già detto. Immaginate di vivere in un mondo in cui il confine tra reale e virtuale è tanto sottile da apparire inesistente. Scoprireste che Facebook non è altro che la cartina tornasole di una società che muta alimentandosi di odio e di violenza, di bugie e di indifferenza.
Quando lo scorso 19 Gennaio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, conferì la carica di Senatrice a Vita a Liliana Segre, la più importante voce narrante della deportazione ebraica Italiana nei campi di sterminio, il web si divise in due schieramenti: gli entusiasti e i contrariati.
Tra i contrariati vi erano quelli più squallidi, che alludevano ad eventuali strategie politiche o peggio ancora che puntualizzavano ammiccando alla retribuzione mensile prevista insieme alla carica, e quelli più pericolosi, che sostenevano che non vi è alcun motivo valido per il quale un superstite all’Olocausto debba ricoprire una carica di tale rilievo. I pericolosi appunto, coloro i quali banalizzano senza riuscire a comprendere il valore del testimone, della memoria, della storia.
La Shoah è alle nostre spalle, dunque, azzardano alcuni. Non è necessario ricordare affinché la storia non si ripeta, sostengo altri. Baggianate e baggianate, dico io. Il mondo è lo stesso di ottant’anni fa, avanza e retrocede rimanendo sempre al punto di partenza. Mireille Knoll, l’ottantenne bruciata viva a Parigi questa settimana poiché ebrea, è la conferma di un’umanità claudicante che rivendica fiera il titolo di antisemita. Sia sul web, che nella vita reale. Infatti, per i più attenti osservatori, la tragedia era già stata annunciata prima ancora di essere stata messa in atto: le grida nella piazza virtuale di Facebook avevano già decretato. Si tratta senza dubbio di un esempio brutale di odio, tanto estremo da risultare quasi surreale considerata l’epoca in cui viviamo, eppure estremamente in linea con i segnali già presenti su quella stessa piattaforma virtuale in cui ciascuno degli utenti si avvale del diritto di espressione senza filtri e senza censure. Una libertà fraintesa e sfruttata barbaricamente, ma importante per riuscire a riconoscere quelli che sono i sintomi di un’era buia e pericolosa, fondamentale per poter puntare il dito e dire “ecco, ecco la matrice dell’odio.”
Con l’uccisione di Mireille Knoll, l’illusione che la storia non si stia ripetendo si è definitivamente spezzata. Si è dissolta, come si è dissolto il corpo innocente di un’anziana signora che come sola colpa aveva quella di essere nata ebrea. E, forse, quella di non essersene mai vergognata.
David Zebuloni
(2 aprile 2018)