Un Rosh Chodesh di condivisione
Domenica prossima 15 Aprile, 30 Nissan, primo giorno di Rosh Chodesh, Capo Mese di Iyar, in attuazione di un progetto sviluppato dalla Commissione Culto e adottato dalla Giunta dell’UCEI, tutte le Comunità ebraiche in Italia, dalle più grandi alle più piccole, da Roma a Casale Monferrato, da Napoli a Merano, apriranno il Bet Hakenesset (le più grandi ovviamente anche più di uno…) per un giorno condiviso di Tefillà, di festa, di vita ebraica, con l’auspicio che altri simili occasioni possano, anche in futuro, idealmente unire tutte le kehillot sparse sul territorio.
Questo mese, in cui, proseguendo il conteggio dei giorni dell’Omer, progrediremo idealmente nel percorso di avvicinamento al Monte Sinai, in cui celebreremo anche il 70° anniversario della nascita dello Stato d’Israele, senza dimenticare le sofferenze e i caduti che questa rinascita ha comportato e tuttora purtroppo comporta, in cui festeggeremo il giorno di Lag Baomer, con tutti i suoi simboli manifesti e nascosti, in cui pure ribadiremo il nostro indissolubile legame con Yerushalaim, nel 51° anno della sua riunificazione, questo mese – come è detto nella preghiera di annuncio del Capo Mese, nel Sabato che lo precede “Lo volga il Santo Benedetto Egli sia, per noi e per tutto il popolo d’Israele,in qualunque posto si trovino, in bene e in benedizione, in giubilo e in gioia, in salvezza ed in consolazione, in alimentazione ed in sostentamento, in buone voci e buone notizie, in piogge a loro tempo, in guarigione completa ed in redenzione vicina”.
Riporto qui, in libera sintesi e traduzione, un testo di Rav Joseph Dov Ha-Levì Soloveitchik z.tz.l. che sviluppa il profondo significato simbolico del Rosh Chodesh.
Rav Giuseppe Momigliano
La peculiarità del Rosh Chodesh
Rosh Chodesh è all’apparenza una giornata normale, semplice, non c’è alcun divieto di lavoro come per i giorni festivi, non ci sono (nella modalità del rosh chodesh, quale si è stabilita dopo il venir meno della consacrazione del nuovo mese da parte del Bet Din, ndr) mizvot particolari al di fuori della Tefillà e la preghiera stessa è in buona parte uguale a quella dei giorni feriali, distinguendosi solo con l’aggiunta del brano che ricorda il capo Mese nella Amidà, con i salmi di Hallel, la lettura della Torah e con la preghiera aggiunta di Musaf; uscendo dal Bet Hakeneset l’ebreo riprende di fatto il lavoro o le incombenze quotidiane.
La santità del Rosh Chodesh si manifesta nel suo carattere poco appariscente, addirittura nascosto, quasi timoroso di apparire, tuttavia proprio in questa dimensione, così racchiusa in una propria intimità, il Rosh Chodesh esprime la sua specificità, distinguendosi sia dai giorni feriali, come espresso attraverso la preghiera aggiunta di Musaf, sia dai giorni festivi, in cui invece la santità – keddushà – appare in forma evidente e manifesta. Ci sono tuttavia degli aspetti, per la verità anch’essi poco manifesti, che testimoniano l’importanza di questa ricorrenza: è l’unica, insieme a Rosh Hashanà, a condividere il significato di “giorno di ricordo”, quasi che, attraverso questa particolarità, ci venga indicata l’importanza, per certi aspetti addirittura una priorità, di questa modalità di santità, più intima e nascosta, rispetto a quello che maggiormente si manifesta. Un altro elemento che ci parla dell’importanza del Rosh Chodesh scaturisce dal fatto che, nella specifica ritualità che caratterizzava il Santuario di Gerusalemme, vigeva per il Capo Mese la stessa Mizvah della Simchà, la gioia religiosa, che si manifestava per i giorni di festa solenne, come pure appare dal passo della Torà che li ricorda congiuntamente :“Nei giorni di gioia, nelle vostre feste e nei vostri capi mese suonerete le trombe per presentare le vostre offerte… “ ( Numeri 10,10), quasi che, nella dimensione di massima sintonia con il divino, quale dimorava nel Santuario, la santità più intima del Rosh Chodesh non fosse affatto inferiore a quella prorompente dei giorni solenni.
In che cosa, dunque, consiste questa santità nascosta? Essa è celata nel suo stesso nome – Rosh Chodesh – che ci ricorda il significato di “Chiddush” cioè di rinnovamento, rinascita. La luce della luna che torna a manifestarsi dopo essere scomparsa, inizialmente flebile, pallida, simile ad un filo argenteo, poi via via in crescita, fino a mostrarsi nella sua dimensione completa, questa nuova luce simboleggia la fede in una consolazione che non può tardare, nel rinnovamento che segue al volto appassito, in una nuova alba che succede ai bagliori del tramonto, nella rinascita dopo il tempo dell’agonia.
Il popolo d’Israele si trova così spesso nella sua storia immerso in una dimensione di sovrumana sofferenza, la giustizia divina appare incombere sul mondo distrutto e desolato, l’uomo contempla rassegnato la crudeltà che imperversa, il futuro si mostra oscuro e inquietante. Giunge il Rosh Chodesh e porta conforto, come dicesse: “Tranquillizzati! La salvezza non tarderà a giungere, i mali che sono nella storia del mondo troveranno un compimento, così come la luna riacquista la sua completezza. E’ vero , solo ieri le comunità ebraiche sono state distrutte, un terzo del nostro popolo è stato annientato, l’oscurità era scesa e le tenebre della notte coprivano il mondo. Guarda ora! Una pallida luce della luna torna ad apparire all’orizzonte, attraverso i suoi sottili bagliori appare la Shekhinà nel silenzio del Suo dolore, nella Sua grande misericordia, nel Suo amore infinito. Il Rosh Chodesh ci sussurra un annuncio di salvezza e di redenzione, al di là della distruzione, di speranza e consolazione oltre il lutto, di ricostruzione al di là delle macerie, di vita che ritorna ad esprimersi con forza dopo sangue e il fuoco, come si esprime il testo ( del Profeta Ezechiele 16,8) “Per il tuo sangue, vivrai”.
Rosh Chodesh simboleggia il completamento di ciò che era venuto a mancare, il manifestarsi di ciò che era nascosto. Il rinnovamento di quanto era stato in passato e il suo tornare a risplendere. Questo è il motivo dominante che caratterizza Rosh Chodesh.
(9 aprile 2018)