NARRATIVA Le storie di Napoli e dei suoi ebrei
Pierpaolo Punturello / NAPOLI, VIA CAPPELLA VECCHIA 31 / Belforte
Il libro “Napoli, via Cappella Vecchia 31” verrà presentato a Gerusalemme giovedì 12 aprile alle ore 19.30 nella sede della Hevrat Yehude Italia be-Israel in via Rehov Hillel 25.
“Sta a noi, solo a noi il cammino”. Lo dice uno dei personaggi di Napoli, Via Cappella Vecchia 31, l’indirizzo della sinagoga che rav Pierpaolo Pinhas Punturello ha scelto come titolo della sua raccolta di racconti, pubblicata da Belforte, ma si riconosce chiara e forte la voce dell’autore. Ha appena quarant’anni, rav Punturello, ma le idee chiare da lungo tempo: nato in quella Napoli che ritrae nel suo libro, ha affiancato gli anni da studente all’Istituto Universitario Orientale della sua città agli studi rabbinici, con rav Giuseppe Laras, per poi proseguire il suo percorso in Israele. Dopo essere stato rabbino della sua comunità vive ora a Gerusalemme, dove lavora come educatore e collabora con numerosi giornali italiani, e si occupa di identità di confine e fenomeni di criptoebraismo. Ci sono tre sorelle e una madre che vorrebbe trasmettere loro la propria storia e l’emozione e la forza delle proprie radici e del passato, e cerca di impedire il matrimonio in chiesa di una di loro, una scelta troppo incomprensibile per non essere fonte di dolore. Una figlia che torna all’osservanza dopo esser stata quella bambina che riconosceva la bellezza de “lalinguadinonno”, che le cantava in ladino canzoni del suo passato. La stessa bambina che aveva ritrovato se stessa e il suo spazio nel momento in cui quello stesso nonno le aveva suggerito cosa fare quando i compagni di scuola, al mattino, recitano le preghiere: “Parla con Dio ascoltando il tuo cuore, e, quando gli altri bambini dicono le loro preghiere, tu ripeti la frase dello Shemà che nonna ti ha insegnato…”. “C’è qualcosa di naturale e speciale nei luoghi dove impari per la prima volta tutto quello che ti accompagnerà per la vita… eppure so anche io di dover partire prima o poi” dice la giovane che le Leggi razziste del 1938 obbligano a lasciare l’Italia separandosi dall’amato. I sensi di colpa compaiono in “La ricerca”, in cui il personaggio principale lotta con se stesso, cercando rifugio in una osservanza che però non basta a rasserenarlo. La sua identità ebraica è messa a dura prova dall’ennesimo amante, cercato e trovato nello spazio concessogli da una moglie che ha scelto negli anni di tacere e aspettare, e che spera che il riavvicinamento all’ebraismo lo riporti a lei. Ma l’ennesimo incontro occasionale è con un ebreo israeliano, un caso, che però gli crea un enorme conflitto, e lo mette in difficoltà. Un racconto lasciato sospeso – non è l’unico – in cui rav Punturello vuole affrontare una situazione difficile, la ricerca di se stessi e di una propria identità, dove però mancano una chiave di lettura, se non una conclusione, o qualche indicazione di dove diriga la vicenda. Si ritrova la forza della sua voce, nota ai molti che ne seguono le lezioni, che lo seguono sui social o lo hanno incontrato nei suoi numerosi viaggi, in “Havdalà”, quando torna a essere l’educatore, e scrive: “Che cosa significa essere padre? Essere madre? Essere maestro? Essere guida? Dove e quando si ferma il dovere di imporre un’educazione e quando si impone al padre, alla madre, al maestro, alla guida il semplice dovere di esserci, anche solo nel silenzio? Perché esiste un potere genitoriale. Un potere che nasce lì dove esiste la necessità o per meglio dire il dovere di educare. Che ci piaccia o meno l’educazione è una forma di violenza, l’espressione di un potere. Una violenza che, in quanto educazione, è essa stessa limitata e censurata dall’esercizio stesso del potere, perché si tratta di un mezzo che forgia, un gesto che solo quando non è fonte di paura, consegna e conferma l’amore”.
Ada Treves, Pagine Ebraiche, aprile 2018