NARRATIVA Una via verso l’essenziale

nicole-krauss-selva-oscuraNicole Krauss / SELVA OSCURA / Guanda

La scrittura è fatta per crescere. Come una foresta, o come una casa che s’innalzi sulle sue fondamenta. Non si scrive se non aggiungendo. Una lettera dopo l’altra, una frase che si salda alla successiva. Nel «Sefer Yezirah», straordinario documento della mistica ebraica, composto tra l’età tardo-antica e la prima etàmedievale, questa dinamica di progressivo incremento del linguaggio è espressa con lucida chiarezza: «Come le combinò? Due pietre edificano due case. Tre pietre sei case. Quattro, ventiquattro case. Cinque, centoventi case». I mattoni dell’edificio sono qui le consonanti ebraiche, che Dio accosta le une alle altre all’origine dei tempi, per realizzare il mondo. Dopo quell’esordio divino, la parola è destinata a dire se stessa. Viviamo su sedimenti di milioni e milioni di discorsi già fatti, sepolti nella nostra memoria culturale come fossili antichissimi, materici, inesplorati. Un fato ineludibile, questo della ripetizione e dell’aggiunta, a cui non sfugge nessuno. Nemmeno chi vorrebbe togliere, rinunciare, svuotare. È un paradosso antico, di cui non sempre siamo consapevoli. Volete scavarvi una nuova via verso l’essenziale, sfrondare gli orpelli, recuperare frasi più profonde e sincere? L’unica scelta che avete è di scrivere altri frasi, ridire, accumulare ulteriori segni. Selva oscura di Nicole Krauss è, in ordine di tempo, uno degli ultimi tentativi letterari di riconquistare la roccia, il basalto del dire. Due protagonisti, entrambi vissuti per il successo. Avvocato vulcanico, ricco, aggressivo lui. Scrittrice di fama internazionale lei. Li divide l’età: Jules Epstein ha sessantotto anni. A Nicole manca invece un anno per raggiungere la quarantina. Epstein ha avuto dalla vita tutto quello che ha voluto. Anzi, se l’è preso, ciò che desiderava, con rabbiosa intelligenza, e con un inesausto desidero di conoscere e di assaporare il mondo. «Desiderio di successo, di denaro, di sesso, di bellezza, d’amore; di grandi cose, ma anche di oggetti concreti, di tutto ciò che si può vedere, annusare, toccare». Quadri, arredi eleganti, amicizie che contano, potere. E, alla fine di tutto, dopo aver raggiunto ogni traguardo, un grande senso di vuoto. Quasi fosse un ultimo, supremo oggetto da assaporare, il vuoto esistenziale impone le proprie ragioni, si fa largo nel quotidiano e finisce per occupargli la mente con la stessa tenacia delle passioni d’un tempo. Epstein è nato in Israele, ma è stato portato ancora bambino negli Stati Uniti e ha fatto fortuna a New York. Ineluttabilmente, la ricerca di un senso della vita lo riporta nell’antica terra di profeti. Prima di partire, aliena, con una generosità compulsiva, quasi tutto il suo considerevole patrimonio. In Israele, si ripromette di fare un’ultima donazione, per la quale è deciso a dar fondo alle sue sostanze residue. Dopo aver soggiornato all’Hilton di Tel Aviv, affitta una miserabile stanza a Giaffa, la cui unica, smodata bellezza è la vista sul Mediterraneo. Finirà su di un set cinematografico, sulle rive del Mar Morto, ma per questo c’è tempo. Ci vuole calma per arrivare al centro del nulla. Anche Nicole è una tipica figlia di New York. I suoi successi di autrice, tradotta in molte lingue, hanno fatto posto a un lungo inaridimento espressivo. Da parecchio non riesce più a scrivere. E anche la vita famigliare, su cui ha investito così tanto, si sta sfaldando. Senza consultare il marito, da cui è sul punto di separarsi, Nicole parte per Israele, attratta dal progetto di recuperare alcuni inediti di Franz Kafka. Le due vicende non si mescolano mai direttamente. O meglio, il loro punto di congiunzione è l’impasse a cui entrambi i protagonisti cercano di sfuggire. Krauss è abile nello sfiorare il biografismo senza cadere in riferimenti troppo diretti. Le due Nicole – quella autoriale e l’altra, rappresentata letterariamente – si specchiano, pur non combaciando del tutto, sebbene siano accomunate da parecchi segni premonitori: successo, profonda ebraicità, fine del rapporto matrimoniale e persino l’eclisse temporanea della vena creativa (questo romanzo giunge a sette anni dal precedente, La grande casa). I paesaggi naturali e urbani d’Israele, e la nervosa vitalità di quella società, servono da crogiuolo per un processo alchemico, che dovrebbe portare a una sorta di nuova pietra filosofale. Se sia possibile trovarla, questa pietra – tra cieli d’Israele e squarci di nervosa attualità politica – lasciamo ai lettori deciderlo. Certo è che le pagine ritagliate nel deserto, in cui Nicole, in preda al delirio della febbre, rovescia se stessa e scava nelle proprie ansie, sono un vero pezzo di bravura. «Ero scesa negli abissi a incontrare me stessa nella valle dell’inferno. Perciò quel dolore, quella dissezione dell’io o qualunque altra cosa mi stesse accadendo laggiù nel deserto, non mi avrebbe distrutta». Cercate il vuoto? Forse lo troverete, un giorno, ai bordi di una pietraia scoscesa. Ammesso che abbiate abbastanza parole per descriverlo.

Giulio Busi, Il Sole 24 Ore Domenica, 8 aprile 2018