SAGGISTICA Il precetto da aggiungere secondo Fackenheim
Massimo Giuliani (a cura di) / Emil L. Fackenheim: un filosofo tra Auschwitz e la nuova Gerusalemme / edizioni Università degli Studi di Trento
Emil Ludwig Fackenheim è stato un importante pensatore del ‘900, la cui riflessione filosofica si è concentrata in particolare sulla Shoah e sui cruciali dilemmi filosofici e teologici che da essa scaturiscono.
Nato ad Halle, in Germania, nel 1916, rabbino e filosofo, egli stesso scampò allo sterminio, riuscendo a sottrarsi alla persecuzione prima che divenisse genocidio: nel corso della Notte dei Cristalli Fackenheim fu infatti arrestato e internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, dal quale riuscì a fuggire, riparando prima in Gran Bretagna, dove fu trattato, in quanto tedesco (e assurdamente) come prigioniero di guerra, e poi in Canada, che divenne la sua terra d’adozione. Un vissuto che influenzò tutta la sua vita e la sua riflessione.
Un ampio excursus nel pensiero e nell’opera di Fackenheim è stato di recente pubblicato dalle edizioni dell’Università degli Studi di Trento, a cura di Massimo Giuliani, che presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia di quell’università è docente di pensiero ebraico, in un volume dal titolo “Emil L. Fackenheim: un filosofo tra Auschwitz e la nuova Gerusalemme”.
La pubblicazione raccoglie parte degli atti di un convegno del 2016, tenutosi a cent’anni dalla nascita del filosofo presso il Centro Bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e altro materiale, tra cui un’intervista al filosofo realizzata da Giuliani nel 1997, e un suo testo, tratto da una lezione del 1962, dal titolo “Il Dio d’Israele. Può l’ebreo moderno credere nella rivelazione?”. Gli altri scritti e interventi presenti nel volume sono di Irene Kajon, Paola Ricci Sindoni, Liliana Picciotto, Giovanna Costanzo, Mino Chamla, Martino Doni, Claudia Milani, Alessandro Paris, Riccardo De Benedetti.
Il pensiero di Emil Fackenheim è noto in filosofia ebraica, in particolare, per alcuni principi da lui enunciati. Tra questi, l’elaborazione di una “ulteriore mitzvà”, la 614esima, che si andrebbe ad aggiungere alle 613 mitzvot previste dall’Halachà, ovvero: “Non concedere a Hitler una vittoria postuma.” Prevedendo dunque l’obbligo, per il popolo ebraico, di continuare a esistere e a resistere, non perdendo la speranza in Dio e nell’uomo. Un concetto connesso con l’altro grande tema del pensiero e della biografia di Fackenheim, il sionismo. Il filosofo infatti emigrò in Israele nel 1967, poche settimane prima dell’inizio della Guerra dei Sei Giorni, per contribuire a far sì che la minaccia all’esistenza stessa dello Stato ebraico fosse sventata. Coerentemente con la “614° mitzvà” di sua invenzione.
Come sottolinea Giuliani nella sua introduzione, “Per Fackenheim costruire uno Stato ebraico e ricostruire Gerusalemme, nonostante le difficoltà e gli innegabili problemi, resta la risposta più alta ai progetti di sterminio dei vari Aman e Amalech, resta invero la forma più completa di obbedienza a quell’alleanza con Dio che i figli d’Israele hanno contratto ai piedi del Monte Sinai”.
Importanti anche le riflessioni del filosofo sul concetto di tiqqun ‘olam, la riparazione di un mondo ferito, con la Shoah, da un male senza precedenti, e sul “ritorno degli ebrei nella Storia” dopo secoli di esclusione, concetti che sono divenuti pietre miliari del pensiero ebraico contemporaneo.
Appartenente – non senza alcune posizioni fortemente critiche – alla corrente ebraica reform, alla quale ha dato un riconosciuto contributo intellettuale, Fackenheim è scomparso nel 2003 a Gerusalemme.
Marco Di Porto