…paradossi

Domenica scorsa Viktor Orban ha vinto per la terza volta consecutiva le elezioni in Ungheria (qui una dettagliata analisi del voto e dell’Ungheria di oggi di Stefano Bottoni). È una data che potrà essere uno spartiacque nella recente storia d’Europa. Con questo terzo mandato, ottenuto a furor di popolo con una campagna elettorale basata sulla paura dell’invasione islamica e sul nazionalismo sfrenato, Orban potrà portare a termine la transizione di sistema verso quella che lui chiama una “democrazia illiberale”. Già si annunciano ulteriori strette alla stampa, già fortemente compromessa nella sua libertà, e alla magistratura. Ancor di più, Orban potrà con più forza porsi a capofila di un sempre più cospicuo gruppo di Paesi che vogliono modificare l’impalcatura europea in senso nazionalista, che poi significa voi datemi i soldi e io li spendo come voglio. Anche un bambino capisce che così non si potrà mai costruire nulla. Per ottenere questo terzo mandato, il Premier ungherese non ha esitato a stimolare un mai sopito immaginario antisemita, rispolverato nella sua campagna contro George Soros. Orban ha subito ricevuto i complimenti di Le Pen, Salvini e degli altri leaders “sovranisti”. Il primo, però, a chiamarlo per felicitarsi pare sia stato Benjamin Netanyahu. Classici paradossi di una politica fondata sul criterio “il nemico del mio nemico è mio amico”.

Davide Assael, ricercatore