Happy Easter
Una giornata in un centro che ospita oltre un centinaio di rifugiati nel nord della Baviera, un edificio prefabbricato costruito da un anno dove non c’è né polizia e né controlli per entrare, a pochi passi dal centro storico di un villaggio. Degli uffici nei quali sono anche ubicati un pronto soccorso, due cucine condivise, e una scuola dove gli ospiti imparano il tedesco, separano la parte dove vivono le famiglie dalle camere in cui alloggiano i singoli. Su una porta di queste è scritto “happy Easter” ed è attaccato un vistoso adesivo con i colori degli LGBT. Vi abita un ragazzo siriano, “sì, qualcuno ha avuto dei problemi con lui a causa del suo orientamento sessuale”, mi spiega un vicino di stanza, ma in generale qui vivono in armonia curdi iraqueni, ezidi, siriani cristiani e musulmani, afghani e famiglie del corno d’Africa in attesa di una sistemazione migliore e delle pratiche per ottimizzare la residenza in Germania. Ogni richiedente asilo ha la possibilità di studiare o di lavorare, nel primo caso lo Stato si occupa del mantenimento economico in base alle esigenze e al nucleo familiare del soggetto, le interviste e i colloqui con le istituzioni competenti scandiscono le settimane e i mesi. Se tra un’intervista e l’altra – regolarmente registrate – vengono notate delle incongruenze si profila il rischio del rimpatrio. Il terrore più grande condiviso da ogni rifugiato, quello appunto di tornare in paesi ridotti in macerie, di nuovo sotto bombe o persecuzioni. “Quando sentiamo di un attentato o di aggressioni commesse da qualche fanatico, siamo i primi ad avere paura, perché anche un solo individuo può mettere in serio pericolo la vita di tutti noi e la nostra permanenza qui in Europa, già precaria di per sé”.
Francesco Moises Bassano
(13 aprile 2018)