Machshevet Israel – L’onore dovuto ai maestri? È amore alla Torah

massimo giulianiÈ abbastanza sorprendente che nel Sefer hamitzwot di Maimonide, “il comando che abbiamo ricevuto di mescolarci tra i Maestri e di unirci a loro” stia al sesto posto dei precetti positivi (ma‘asè), su 248, subito dopo i precetti del credere in HaShem, nel Suo essere uno e unico, servendoLo con timore e amore, e prima di precetti come la recita dello Shemah, dei tefillin, ecc. Sorprendente ma non troppo, se scaviamo nei significati di questa mitzwah scartando subito l’idea che il Rambam sia incline a celebrare il rabbinato in quanto tale, a prescindere da chi ‘interpreti il ruolo’: nessun culto della personalità rabbinica. E tuttavia il filosofo-halakhista dice che è importante frequentare i rabbini (sono loro i maestri del giudaismo) ed è un dovere “unirci a loro, sedere assiduamente con loro e associarci ad essi in ogni forma di associazione… perché possiamo giungere ad essere simili a loro nelle azioni e a credere nelle idee vere in base alle loro parole”. Si suppone dunque che il maestro, chiamato tecnicamente talmid chakham ossia studente del sapiente, sia un esempio di ortoprassi e ortodossia, un modello da seguire nell’azione e nel pensiero. Del resto, come la tavola (il desco quotidiano) ha sostituito l’altare (del Tempio), così il rav sostituisce il sacerdote nella gerarchia dei valori e dei modelli dopo il 70. Questa mitzwà porta spesso il nome di kavod talmid chakham.
Ma cos’è anzitutto il kavod? Nell’ebraico del Tanakh è un termine-concetto assai ampio, che va dall’idea di essere pesante e importante al senso di riconoscimento del valore di cose e persone, quindi vale per rispetto, onore, dignità e gloria. Chi porta e dice kavod (come nell’ebraico odierno kol hakavod) intende riconoscere a qualcuno di avere capacità superiori alla media o di aver fatto qualcosa di grande e degno di ammirazione. Ricorre anzitutto nella sfera teologica: il più alto kavod è quello divino, che la LXX traduce con l’equivalente greco di doxa. Kavod è l’onore dovuto al Creatore di tutto. Di riflesso, chi dà la vita porta in sé il kavod del Creatore: i nostri genitori. Ecco perché nelle Dieci Parole leggiamo: Onora tuo padre e tua madre… Proprio la consapevolezza che si tratta di un termine riferito essenzialmente ad HaShem induce a interrogarsi: come è possibile che tale onore sia attribuito anche ai maestri, che sono esseri di carne e sangue? Ebbene, è il kavod dovuto al proprio padre e alla propria madre che spiega il passaggio al dovere dell’onore nei confronti dei maestri. Dice infatti il Rambam nelle Hilkhot Talmud Torà: “Come una persona è comandata al rispetto e al timore del proprio padre, è pure comandata al rispetto e al timore del proprio maestro. Anzi, al proprio maestro si è tenuto a portare kavod più che a un padre, in quanto un genitore conduce un figlio alla vita terrena, mentre un maestro – che insegna la saggezza della Torà – conduce l’uomo al mondo futuro” (V, 1).
L’onore e il rispetto sono legati alla trasmissione della vita: quella fisica e quella spirituale. HaShem sta all’origine di entrambe, e i genitori dovrebbero esserlo a loro volta (non è questa la ragione per cui il ‘quinto comandamento’ sta nella prima delle due tavole della Legge?). A loro volta i maestri, in quanto studiosi della Torah, insegnano e trasmettono una sapienza che, ad un tempo, fa vivere nel mondo secondo la volontà divina e illumina la vita mondana con luci spirituali. Così l’onore che dobbiamo alla Torà diventa il nostro dovere di onorare chi quella Torà ci trasmette, nello studio e nell’insegnamento, da Moshè rabbenu in poi. Che sia il ‘proprio maestro’, come il proprio genitore e la propria genitrice, aggrava il dovere, ossia aumenta il kavod a cui siamo tenuti. Ma come dicevo sopra, non si tratta di un culto della persona: non tutti i genitori sono buoni esempi e non tutti i maestri sono moralmente integerrimi. Occorre – secondo l’etimologia del termine – pesarne il valore sull’unica misura che conta: la Torà. Occorre leggere questo onore come un modo per dare kavod alla Torà e al suo divino Datore.
Il capitolo VI dei Pirqé Avot, dedicato all’acquisizione della Torà, si apre con un lungo insegnamento di Rabbi Meir che ebbe come maestro il più grande eretico del Talmud, Elishà ben Abujà; ma sempre il Talmud, trattato Chaghigà 15b, racconta di come Rabbi Meir contribuì a salvare il proprio maestro dall’inferno: le sue cattive azioni da eretico, argomentò il discepolo, pesano meno dei suoi buoni insegnamenti sulla Torà. Sempre nei Pirqé Avot leggiamo che il kavod non va dato solo al maestro ma a chiunque ci insegna una verità: “Chi apprende dal suo compagno anche solo un capitolo o una sola regola o addirittura un solo versetto, persino una sola lettera, deve tributargli kavod” (V, 3). E c’è chi dice: anche se si tratta di un non ebreo. Kol hakavod dunque alla tradizione che mette il kavod dello studio in cima alla scala dei propri valori.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI