YOM HAAZMAUT Bialik e le speranze di un popolo
Chaim Nachman Bialik, uno dei più grandi poeti della letteratura ebraica, sionista della prima ora, non vide la nascita dello Stato d’Israele. Morì per una complicazione durante un intervento chirurgico a Vienna, lontano dalla sua Tel Aviv nel 1934. Quanto la sua figura fosse importante per il nascente Stato ebraico, lo dimostrò l’enorme commozione che destò la sua scomparsa: un fiume di persone seguirono il feretro che da rehov Bialik a Tel Aviv (la strada a lui dedicata e dove si trovava la sua casa) veniva portato al luogo della sepoltura. Bialik influenzò intere generazioni di sionisti e fu tra i pionieri della riscoperta dell’ebraico, come dimostra la poesia presente in questa pagina, pubblicata quando aveva solo 18 anni e viveva ancora ad Odessa. El Hatzipor, il titolo della poesia – l’uccellino, tradotto qui da Dante Lattes come “la rondine” – è la rappresentazione perfetta del sionismo di Bialik, di quell’aspirazione a vedere la nascita di uno Stato ebraico. E quando si trasferì nella Palestina mandataria, Bialik, nel suo famoso discorso per l’inaugurazione dell’Università ebraica di Gerusalemme del 1925 (ritratta nel dipinto accanto di Leopold Pilichowski), affermò: “Signori, migliaia di giovani nostri, dando retta alla voce del cuore, accorrono da tutte le parti del mondo a questa terra per redimerla dalla sua desolazione e dalle sue rovine. Son pronti a versare tutto il loro idealismo, tutte le loro forze giovanili nel seno di questa terra deserta, per richiamarla a nuova vita”.
Benvenuta, o rondine gentile, che torni
dai paesi del caldo al mio balcone
quanto ho bramato il tuo dolce cinguettio
quest’inverno, dopo che ha lasciato la mia dimora.
Canta, o rondine cara, racconta
le meraviglie della terra lontana;
anche là nella bella terra calda
son tanti i mali e le pene?
Mi porti tu il saluto dei fratelli in Sion
dei fratelli miei così lontani e così vicini?
Oh beati loro! Sanno essi forse
ch’io soffro, ahimè, che soffro tanto?
Sanno essi che qui i miei nemici son tanti,
che son molti, ahimè, i miei avversari?
Canta, o rondine, le meraviglie della terra
in cui regna eterna la primavera.
Mi rechi tu il saluto dei prodotti del suolo,
delle valli, delle pianure, delle cime dei monti?
Iddio si è mosso a pietà ed ha consolato Sion,
oppure essa è tutta ancora un cimitero?
E la valle dello Sharon e il colle dell’incenso
esalano ancora la loro mirra, il loro nardo?
Si è destato dal suo sonno il più antico dei boschi,
il Libano addormentato nel suo duro letargo?
Scende come perle per la rugiada sul Monte Hermon,
oppure scende come scendono le lacrime?
E come sta il Giordano colle sue limpide acque?
E come stanno i monti e le colline?
È scomparsa dalle loro cime la densa nube
che stende nebbie e fosche ombre?
Canta, o rondine, della terra in cui gli avi miei
trovaron la vita e la morte.
Non sono ancora appassiti i fiori che ho piantato,
come son appassito io?
Mi ricordo quand’io fiorivo come loro.
Ora però son vecchio, senza vigore.
Narrami, o rondine, i misteriosi colloqui degli alberi;
dimmi che cosa t’han sussurrato colle loro fronde.
T’han dato consolanti promesse, t’han fatto sperare in giorni
di abbondanti raccolti?
E i miei fratelli che lavorano e seminano con lacrime,
hanno mietuto col canto i covoni?
O avess’io l’ali! Volerei verso il paese
dove fioriscono il mandorlo e la palma!
Ed io che cosa posso dirti, o rondine graziosa?
Che speri tu di udire dalla mia bocca?
Da quest’angolo di terra fredda non canti udrai,
ma nenie, ma solo lamenti e gemiti.
Vuoi che ti narri le pene che ormai nelle terre
dei mortali sono così diffuse e note?
Ohimé chi potrebbe enumerare le sventure passate,
e le disgrazie che stan per sopraggiungere?
Torna, o rondine, a vagare verso i tuoi monti e il tuo deserto!
Te felice che abbandoni la mia tenda;
se rimanessi con me, anche tu, o canoro uccelletto,
piangeresti, amaramente piangeresti sul mio destino.
Ma non pianto e lacrime posson lenire il mio dolore;
non son essi che guariranno le mie ferite;
ormai ho gli occhi stanchi, ho pieno il vaso delle lacrime,
ormai come erba è sfiorito il mio cuore;
le lacrime son ormai esaurite, ogni termine è chiuso;
ma non è chiusa la stagione del mio dolore;
benvenuta, o rondine cara, che torni,
leva il tuo cinguettio gioioso e canta!
Chaim Nachman Bialik (traduzione di Dante Lattes)
Dossier Israele 70, a cura di Daniel Reichel
Pagine Ebraiche, aprile 2018