…negazionismo

Ho appena scoperto – ma guarda tu come sono sbadato… – che i soldati della Brigata ebraica “al contrario degli ebrei che combatterono come partigiani italiani”, erano in realtà foreign fighters (mercenari si direbbe in italiano) al soldo degli imperialisti inglesi. Uomini senza scrupoli che avrebbero partecipato ai rastrellamenti in sud Tirolo e in Carinzia di civili tedeschi, catturati per il solo fatto di essere tedeschi. Una pulizia etnica. Seguendo questa logica, potremmo sostenere senza vergogna che gli antifascisti che combatterono nelle Brigate internazionali durante la guerra civile spagnola furono in realtà degli armigeri prezzolati dall’URSS e assatanati tagliagole senza morale.
Si tratta dell’elaborazione faticosamente prodotta in certi ambienti del complottismo e della propaganda anti-israeliana in Italia per opporsi con l’uso e l’abuso della documentazione storica alla partecipazione delle bandiere della Brigata Ebraica alle celebrazioni della Liberazione. Il passaggio logico sarebbe questo: i sionisti (=ebrei cattivi, che in seguito creeranno l’esercito di Israele effettuando la pulizia etnica in Palestina) si inquadrarono surrettiziamente nell’esercito inglese combattendo poco o nulla, concentrandosi invece in due tipi di attività: andare alla ricerca di tedeschi in quanto tali (chiamandoli criminali nazisti) per ucciderli sommariamente in azioni degne degli squadroni della morte sudamericani; e organizzando l’emigrazione clandestina di ebrei in Palestina con l’intento programmatico di effettuare una sostituzione etnica.
Se ci si racconta la storia in questo modo, distaccandola completamente dalle dinamiche storiche, dalla documentazione archivistica e dalla contestualizzazione (che sono gli strumenti del ricercatore storico rigoroso), l’operazione riesce, ed è perfettamente funzionale alle tesi politiche che da anni indicano “l’imperialismo sionista” come la causa unica dei disastri mediorientali e non solo. Si tratta in realtà di una nuova e inedita frontiera del negazionismo, che utilizza in maniera programmatica alcune informazioni storiche veritiere (solo alcune) rendendole funzionali a una narrazione della storia scritta per dimostrare una tesi politica precostituita. Una narrazione fasulla, ma che risulta affascinante e quindi molto efficace perché “alternativa” alla storia ufficiale ed “esplicativa” (“vi dico io come sono andate veramente le cose…”) di situazioni storiche complesse e articolate. Un brutto modo di fare cultura, che allarma ancora di più dal momento che discorsi del genere sono echeggiati nei giorni scorsi in incontri organizzati in aule di università pubbliche a Milano e a Torino, sotto gli occhi indifferenti di autorità accademiche spesso un po’ troppo distratte di fronte a questi temi.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC