Pregiudizi
Qualche giorno fa mentre scorrevo le notizie mi sono apparsi contemporaneamente due articoli su Israele: nel primo un giornale che si definisce comunista si focalizzava su una recente manifestazione a Tel Aviv “a favore del genocidio dei palestinesi” dove avrebbero partecipato duemila persone con tanto di cartelli “kill them all” e con la presenza di varie “icone pop”. Da quanto ho riscontrato poi su Ynet il suddetto rally avrebbe avuto luogo non in questi giorni ma due anni fa, ed era ufficialmente a sostegno del soldato Elor Azaria, sebbene la partecipazione virasse naturalmente più a destra e i toni fossero forti. Il secondo articolo trattava invece del Memorial Day organizzato dal Parents Circle Families di Tel Aviv, un’iniziativa congiunta (sostenuta anche dallo scrittore David Grossman) per ricordare entrambe le vittime del confitto israelo-palestinese e che, secondo Haaretz, avrebbe visto la presenza quest’anno di almeno tremila persone. Ora se non conoscessi granché Israele e la mia unica fonte d’informazione fosse il primo giornale, penserei che questo paese sia composto da una massa indistinta di individui razzisti e segregazionisti che passano l’intera esistenza a programmare lo sterminio del popolo arabo. E purtroppo varie volte nel mio percorso, mi sono scontrato con questo pregiudizio vivido in molte persone. Se poi lo stesso me scevro di Israele, passasse al secondo articolo citato, andrebbe probabilmente in confusione, si troverebbe di fronte un’ambiguità, e si chiederebbe quale delle due manifestazioni è avvenuta realmente e quale sarebbe la vera Israele – premesso che la prima è una fakenews o una notizia comunque alterata, visto il titolo, i toni settari e la datazione -. La realtà è che Israele è un paese di quasi nove milione di abitanti e che forse molti dei suoi abitanti potrebbero essere non in sintonia sia nei confronti del primo che del secondo rally di Tel Aviv, oppure potrebbero avere un’idea più moderata, radicale, scettica o di totale indifferenza sui temi trattati da entrambe. Ciò mi porta a constatare che settant’anni dopo la sua nascita, la società israeliana è ancora vittima nel mondo
di un’immagine irreale e stereotipata che non smette mai di circolare, e che la sua avversione o la sua difesa avviene spesso nei toni della propaganda e del tifo calcistico dove vige soltanto un aut/aut nihil. Quando invece la bellezza, o almeno credo, è insita proprio in quella complessità e varietà che certo a Israele non manca.
Francesco Moises Bassano