Società – Quell’odio nei fischi contro gli ex internati nei lager nazisti
Da molti anni le celebrazioni del 25 Aprile – festa nazionale che ricorda la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista – sono disturbate da sparuti ma rumorosi manipoli di contestatori. Militanti dei centri sociali alla ricerca di spazi di visibilità, neofascisti e neonazisti più o meno dissimulati, gruppi filo-palestinesi presenti nelle celebrazioni non si sa bene a che titolo, grazie a una discutibile copertura offerta dall’Anpi, la maggiore associazione partigiana italiana. A questa presenza – e agli episodi incresciosi ad essa collegati – già non si riesce a far l’abitudine. Quest’anno alle consuete manifestazioni di inciviltà si sono aggiunti alcuni fatti che fanno pensare e spaventano. A Milano, dove già negli anni scorsi erano stati contestati i pochi e anziani superstiti della Brigata ebraica, la mattina del 25 aprile sono state accolte da fischi persino le rappresentanze delle associazioni fra i reduci dai campi di concentramento nazisti: un gesto gratuito di irrisione che non pub essere motivato nemmeno dalla più aberrante deriva ideologica e può spiegarsi solo come espressione di una cieca furia nichilista. Intanto, già dalla notte, la notizia del ricovero in ospedale di Giorgio Napolitano, aveva aperto le dighe dei social networks a una incredibile ondata di risentimenti e vituperi rivolta contro il novantaduenne ex Capo dello Stato: un personaggio già in testa, durante la sua permanenza al Quirinale, alle classifiche del gradimento popolare e ora individuato da una parte del popolo del web come simbolo della prima e insieme della seconda Repubblica, come rappresentante massimo di un ceto dirigente capace di coltivare e di praticare le antiche virtù della politica tradizionalmente intesa. Virtù che sembrano sempre più mancare a un protagonista della scena nazionale come Silvio Berlusconi: ieri, per assestare un colpo definitivo a qualsiasi ipotesi di alleanza fra centro-destra e MSS, il leader di Forza Italia non ha trovato di meglio che istituire un paragone tra la condizione dei suoi seguaci e quella degli ebrei «all’apparire di Hitler»: accostamento a dir poco spericolato e certo inopportuno nel giorno in cui si dovrebbero piuttosto ricordare le vere vittime del nazismo. Lasciamo pure da parte l’uscita di Berlusconi, forse imputabile a un’inguaribile tendenza alla gaffe e a uno scarso controllo nell’uso delle metafore. Resta il quadro desolante di una società in cui la dismisura verbale e l’ignoranza si accompagnano all’odio indiscriminato e al rancore sociale diffusi senza alcuna remora interna e senza alcuna norma sanzionatoria nel mare magnum della rete. A spiegare il tutto non bastano le categorie classiche dello scontento, delle aspettative frustrate, della protesta contro una politica giudicata in blocco corrotta e inefficiente: la crisi economica è ormai alle nostre spalle con tutto il suo carico di delusioni, anche se permangono, e pesano, le difficoltà dei sistemi di welfare; e la qualità del personale politico in Italia e nelle democrazie occidentali non sembra peggiorata a uno sguardo obiettivo. E allora da dove viene questa massa di immondizia mediatica che dilaga un po’ ovunque? Forse – è un’interpretazione ottimistica – ad aumentare non è tanto la massa, quando la sua visibilità attraverso i social networks. Ma questa è una ragione in più per ristabilire alcune regole fondamentali di comportamento e adeguate sanzioni per chi le infrange, a cominciare naturalmente dalla scuola. Alla quale, più che a qualsiasi altra istituzione, spetta il compito di fornire una trama informativa e normativa di base, prima ed essenziale condizione per l’accesso alla cittadinanza democratica.
Giovanni Sabbatucci, La Stampa, 26 aprile 2018