…palestinesi

Su Il Tempo di oggi un breve corsivo di Pierangelo Buttafuoco lamenta l’irrilevanza internazionale della questione palestinese. I sauditi non la considerano più una priorità, dice, e non c’è più neppure un Gheddafi che rimproveri ai fratelli arabi della Lega l’incapacità di risolvere la questione. Lo cita così: “Ma cosa ci riuniamo a fare se non siamo in grado di fare per la Palestina, la terra dei nostri fratelli, quello che Nelson Mandela da solo fece per il Sudafrica”? La questione mi sembra posta in modo errato. Si basa infatti su un’idea salvifica per cui i grandi nodi politici della storia vengono sciolti da un intervento esterno e quasi miracoloso, rinunciando a considerare l’azione strategica, il coraggio delle scelte e la capacità di guardare in prospettiva futura le vere e necessarie qualità per risolvere situazioni in stallo da decenni. Risolvere la questione palestinese è possibile a patto che si dismetta l’idea che i protagonisti siano la rappresentazione di cliché utili alla comunicazione mediatica ma non aderenti alla realtà delle cose. In altre parole sarebbe il caso di smetterla di accreditare l’immagine del mondo palestinese rappresentandolo come una massa di profughi diseredati ingiustamente perseguitati da decenni e (con sguardo paternalistico occidentale ai limiti del razzismo) impossibilitati all’azione. Questa rappresentazione è utile alla propaganda nelle manifestazioni in occidente, ma inutile e dannosa per risolvere i problemi – che ci sono e sono gravi – dell’universo palestinese. Un mondo complesso fatto di gruppi familiari, politici e religiosi spesso conflittuali fra loro, ma anche capace di esprimere grandi intelligenze, un’imprenditoria moderna, una cultura secolare particolarmente avanzata, un’importante produzione culturale. Viviamo un momento storico in cui è evidente la possibilità di sbloccare situazioni che sembravano senza fine: le due Coree si riavvicinano dopo decenni e vengono messi da parte minacciosi e dispendiosi progetti nucleari; i terroristi baschi dell’Eta annunciano il loro scioglimento mettendo fine all’età del terrore nella penisola Iberica. Si tratta di scelte coraggiose, compiute da leader politici che sanno interpretare le dinamiche dei gruppi umani che intendono rappresentare e guidare. L’anziano Abu Mazen negli stessi giorni compie invece una scelta del tutto opposta, pronunciando un discorso che demonizza il suo avversario (non gli israeliani, gli ebrei!) e chiude definitivamente ogni strada a possibili atti di coraggio politico. Gheddafi si sbagliava: in Sudafrica non fu Mandela “da solo” a sconfiggere l’apartheid, ma fu lui come dirigente politico, seguito da un movimento pacifico di popolo. La vera questione in Medio Oriente sembra quindi essere l’insufficienza delle leadership politiche (in tutti i campi, mi pare) che sappiano individuare quali sono i veri problemi sul terreno (carenza di acqua, zone sovrappopolate, servizi pubblici insufficienti, minacce fondamentaliste) e propongano con coraggio progetti di lungo periodo per risolvere situazioni di certo incancrenite, ma non fatalmente immutabili.  

Gadi Luzzatto Voghera, storico