Il successo del Giro
Si è conclusa la parentesi israeliana del Giro d’Italia. Obiettivamente: un enorme successo di organizzazione e marketing. Circa un miliardo di telespettatori nel mondo ha ammirato la pietra bianca gerosolimitana, i viali alberati di Tel Aviv, il colpo d’occhio del deserto del Negev. I promotori di questa partenza insolita della corsa ciclistica puntano a trasformare Israele in una patria della mobilità sostenibile, sfruttando il terreno pianeggiante e le distanze brevi, ideali per pedalare. Per il governo, l’occasione era ghiotta per veicolare e un’immagine positiva del paese, che aiuti a superare il record sperato di cinque milioni di turisti nel 2018 e che allontani i ricordi del conflitto e degli attentati. E naturalmente è proprio contro questo aspetto pubblicitario che si sono scagliati critici e attivisti: il Giro sarebbe servito a ripulire la reputazione di un paese occupante, militarizzato, ingiusto. Si tratta di una posizione poco sostenibile: in primo luogo perché lo sport può essere uno strumento di dialogo e incontro tra popoli diversi; poi perché i paesi che vogliono favorire il processo di pace hanno tutto l’interesse a puntare su iniziative culturali e sociali, altro che boicottaggi; infine perché solo chi ha a cuore il proprio futuro può sopportare lo sforzo di costruire la pace, e non c’è dubbio che il futuro di Israele debba fare perno, tra le altre cose, sulle potenzialità turistiche del suo territorio, delle sue culture e delle sue bellezze.
Tobia Zevi
(8 maggio 2018)