Berakhòt al Salone di Torino
“Tutto ciò che gli ebrei sono oggi, sta nelle pagine di questo testo. Come e perché osserviamo le feste, lo Shabbat, la Kashrut, tutte le altre norme. La base dell’osservanza è nel Talmud, pilastro imprescindibile dell’identità ebraica”, così spiegava a Pagine Ebraiche rav Gianfranco Di Segni, parlando della traduzione del Trattato Berakhòt in italiano. Una traduzione curata dallo stesso rav Di Segni, parte di un Progetto ampio e importante di cui hanno discusso al Salone del Libro di Torino rav Gadi Piperno, project manager del Progetto Talmud, il rabbino capo di Torino rav Ariel Di Porto e Mario Patrono, giurista e membro del Consiglio di Amministrazione del Progetto Talmud. A coordinare il dibattito, il direttore della redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale, che ha ricordato in apertura il grande valore simbolico del progetto di traduzione del Talmud per l’ebraismo italiano. “Nel 1553 il Talmud, su ordine del papa, fu bruciato a Roma. A lungo fu un testo vietato – ha sottolineato rav Piperno – ma nonostante la censura l’Italia vi furono comunque grandi talmudisti”. Quella data segna però una ferita profonda nella storia dell’ebraismo italiano ed è significativo che a distanza di cinque secoli sia stato avviato – con la collaborazione delle istituzioni (protocollo d’intesa siglato nel 2011 tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Consiglio nazionale delle ricerche, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Collegio rabbinico italiano) – un progetto di traduzione di un testo fondamentale per la tradizione ebraica che si cercò di cancellare. “Un testo che ora è a disposizione di un pubblico più ampio ma che rimane difficilmente intellegibile se affrontato senza la giusta preparazione”, ha ricordato rav Di Porto, spiegando al pubblico torinese che non ci sono scorciatoie di fronte al Talmud, solo lo studio permette di poterne cogliere la complessità. Proprio la sua difficoltà, ha sottolineato il professor Patrono, ha fatto in modo che fosse costruita una solida struttura informatica per poterlo tradurre, costituendo così uno strumento “utilizzabile anche per qualsiasi altra lingua antica”.