Qui Ferrara – Etica e mitzvot
Una lezione da record, quella tenutasi ieri pomeriggio al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS per il ciclo “Fondamenti di ebraismo”, il progetto di formazione e di educazione promosso dall’UCEI, sotto la direzione di rav Roberto Della Rocca e Dario Calimani. A seguire l’intervento di rav Alberto Sermoneta, rabbino capo della Comunità Ebraica di Bologna, non c’era, infatti, solo il folto pubblico presente al Meis, comprese tre classi della scuola ebraica di Roma, ma anche quindici Comunità collegate in diretta streaming e gruppi di ascolto in Italia e a New York, senza contare i partecipanti via Facebook.
Questa decima lezione, dedicata al tema “Etica e mitzvot”, è stata organizzata in collaborazione con la Comunità ebraica di Ferrara, “di grande storia, gloriosa e più che millenaria, ma oggi di piccoli numeri” – come ha puntualizzato il suo Presidente Andrea Pesaro –. “Per questo mi fa molto piacere vedere tanti giovani, perché è per loro che stiamo lavorando”. Essendo la sinagoga attualmente inagibile – è in fase di ristrutturazione, anche per i danni subiti dal terremoto nel 2012 – il Meis ha offerto il proprio bookshop come teatro dell’incontro. Del resto – ha sottolineato il Direttore Della Seta – “questo è più di un museo: è un laboratorio dell’ebraismo italiano che si rivolge ai non ebrei e agli ebrei italiani”.
A rav Sermoneta il delicato compito di chiarire se le mitzvot siano dei comandamenti fini a se stessi o se vadano praticate per il loro valore etico e morale. “Un problema – ha scherzosamente preso la parola – che continuiamo a porci da almeno 3.200 anni, nonostante i contributi di tante barbe di rabbanim…”.
“La settimana prossima – ha proseguito rav Sermoneta – avremo ricevuto tutti la Torah e ci raccoglieremo ad ascoltare i dieci comandamenti, che sono anche dei discorsi. Sono le parole che Dio, sul monte Sinai, ha voluto dare al popolo ebraico, impaurito perché, dopo una schiavitù di 400 anni, in una nazione che non sapeva cosa fossero il monoteismo e il rispetto reciproco tra gli esseri umani, si trovava improvvisamente davanti alla teofania”.
La Torah che gli ebrei ricevono a Shavuot pone loro condizioni ben precise, illustrate al capitolo 19 dell’Esodo, verso 5: ‘Se ascolterete bene la mia voce e osserverete il mio patto, sarete un tesoro, un popolo santo, distinto’. “Qualcuno ha interpretato in malafede quest’espressione, parlando di ‘popolo eletto’, e ciò ci ha causato molta sofferenza nel corso dei millenni. Mentre il senso – ha precisato il rav – è quello di un popolo speciale, che dalla schiavitù passa a un mondo nuovo, in cui tutti hanno gli stessi diritti e ognuno può scegliere cosa fare, assumendosene la responsabilità”. Tutto questo è la Torah, punto di riferimento dell’ebraismo: “A volte viene tradotto con ‘legge’, ma significa anche ‘guida’, ‘luce’ che illumina il percorso da affrontare per essere un regno di sacerdoti, ‘insegnamento’ attraverso i racconti che narra”.
Le mitzvot sono le regole che Dio comanda: 613 mitzvot, 365 delle quali negative (divieti) e 248 positive (obblighi). “Ogni popolo ha una sua costituzione, un suo modo di percorrere la strada. La Halakah è la normativa, l’osservanza dei precetti, il cammino che l’ebreo deve fare per mantenere le sue caratteristiche, la lotta del popolo ebraico per conservare integre le sue tradizioni attraverso la cultura, lo studio e l’insegnamento”. La regola e la tradizione formano il minhag, cioè il nostro comportamento, la nostra guida per attenerci alle mitzvot e all’Halakah, l’interpretazione, la tradizione e gli usi che distinguono gli ebrei nelle varie comunità. “Un percorso che può essere definito come Derekh eretz, che ha preceduto la Torah per ventisei generazioni: è la nostra condotta e disciplina sociale, ciò che dobbiamo mettere in pratica per confrontarci con chi ci è vicino, l’obbedienza alle norme fondamentali di comportamento fra esseri viventi, per rispettarsi a vicenda e vivere una vita dignitosa”.
Le mitzvot compaiono quando viene promulgato il decalogo: “Davanti ad esse ci aspettiamo di sentirci dire: ‘Puoi mangiare il bue, ma non il cavallo, puoi lavorare sei giorni, ma non il settimo, perché è Shabbat’. Poi, all’interno dell’osservanza dello Shabbat, diverse altre regole precisano il nostro rapporto sociale con il prossimo, con gli animali che ci circondano, fra l’ebreo e chi è al suo servizio. Tutto ciò rientra in una forma non solo di mitzvot comandate da Dio, ma anche di etica”.
E investe la dimensione etica la Parashà che, subito dopo il decalogo, spiega come la Torah voglia gestire all’insegna del rispetto il rapporto tra gli esseri umani entro una scala sociale (ebrei liberi ed ebrei che si sottomettono). I maestri del Talmud ci informano che, se il padrone ha solo un cuscino per dormire, deve cederlo al servo. Leggiamo, poi: ‘Quando vedrai l’asino del tuo nemico soccombere sotto il suo peso, guardati bene dall’abbandonarlo’, che fa il paio con ‘Quando vedrai il tuo nemico cadere, non gioire’. Il rispetto che ci lega agli animali deve, insomma, andare di pari passo con quello per gli esseri umani. Non a caso, tra le figure che hanno diritto al riposo sabbatico, la Torah elenca, accanto ai figli e ai servi, ‘il tuo bue, il tuo asino e tutto il tuo bestiame’, per significare che il diritto al riposo si estende non solo agli ebrei, ma all’intera società, animali inclusi. E ancora: ‘Non maledire il sordo e davanti al cieco non mettere inciampo’. “Questa è etica morale – ha specificato rav Sermoneta – ed è alla base del comportamento sociale del popolo ebraico. Che nell’applicazione di tali precetti non deve essere solo distinto, ma esemplare per gli altri popoli, avendo accettato per primo la Torah e il monoteismo, ed essendosi sobbarcato l’onere di osservare i comandamenti.
Se ‘Non startene davanti al sangue di tuo fratello’ è uno spunto per affrontare questioni di etica medica e bioetica, come il dovere di donare il sangue agli anemici o di salvare la vita altrui (pure quella dei nemici) donando un organo, la mitzvà più importante resta ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’, ossia “consideralo come se fosse te, non mettere chi ti sta vicino in uno stato di inferiorità. Siamo di nuovo sul terreno dell’etica morale: quando vedi una persona che ha bisogno di aiuto, come ebreo hai il dovere di darglielo. Lo impariamo dal comportamento dei nostri patriarchi: accogli i viandanti che non hanno dove abitare, mangiare, trascorrere lo Shabbat, sentirsi a casa; vai a trovare chi soffre, assisti i malati, dì loro una parola di conforto”.
Ma la vera mitzvà, come rav Elio Toaff non mancava di segnalare ai suoi allievi, è l’assistenza ai morti: chi compie una mitzvà si aspetta di essere ringraziato, mentre i morti non possono farlo. “Rav Toaff ci raccontava che, quando era partigiano e incontrava ebrei uccisi, fucilati – ha detto rav Sermoneta –, gli venivano in mente le parole di suo padre: «Se vedi un morto e sai che è ebreo, cerca di pulirlo con un po’ d’acqua e dagli una sepoltura dignitosa». Quando tornò miracolosamente vivo dalla guerra, il padre gli disse: «Dio ti ha ricompensato facendoti continuare a vivere, perché il riguardo per i morti è la vera bontà, la vera espressione dell’osservanza di una mitzvà».
In definitiva, dobbiamo rispettare le mitzvot e basta oppure fanno parte del nostro comportamento, della nostra relazione con la società? “Oggi cerchiamo di dare spiegazione a numerose mitzvot che, fino a qualche secolo fa, erano inspiegabili e alle quali si aderiva semplicemente perché ci si sentiva in dovere di farlo, in quanto ebrei. Invece, certe mitzvot ci mettono nella condizione di essere partecipi della vita di una società multietnica, multireligiosa e di non attirarci critiche, soprattutto l’accusa di aiutarci solo tra di noi, uno dei presupposti dell’antisemitismo. Rubare, ad esempio, è proibito, ma rubare a un goy (un non ebreo) equivale a una profanazione divina. E certe mitzvot sulla casherut, apparentemente non collegate a valori di carattere etico, chi ci dice che non rappresentino, invece, una forma di etica nei confronti del mondo animale, di rispetto per l’ecosistema?”.
E proprio di rispetto per l’ambiente e gli animali parlerà Paolo Pozzi nella prossima lezione di “Fondamenti di ebraismo”: appuntamento a Genova il 27 maggio.
Daniela Modonesi
(14 maggio 2018)