Fauda
Il conflitto mediorientale sembra aver allontanato definitivamente negli ultimi anni qualsiasi possibilità di coesistenza tra le popolazioni che abitano nella regione. Le varie narrazioni che trattano di questo convergono quasi sempre nel vedere gli ebrei-israeliani e arabo-palestinesi immersi in un clima costante di tensione e reciproca diffidenza, una situazione che si sarebbe poi estesa persino in Occidente. In realtà, allontanandomi per un momento dal Medio Oriente, leggevo qualche giorno fa di una scuola ebraica di Birmingham frequentata soprattutto da alunni musulmani, o del caso di Teaneck, in New Jersey, una cittadina a maggioranza ebraica che ha eletto da tempo un sindaco musulmano. Ma tornando al punto di partenza: finalmente sono riuscito a guardare la prima stagione della Serie Tv israeliana Fauda, un telefilm che racconta la storia di una unità di Mista’arvim alle prese con la cattura di un importante terrorista di Hamas, conosciuto come Abu Akhmed. Sorvolo le mie considerazioni specifiche sul telefilm, almeno per il momento, ciò che mi ha colpito di più è l’aspetto linguistico. Ho visto tutte le puntate in lingua originale (naturalmente con i sottotitoli!) è ciò che esemplifica al meglio il titolo del film che significa “confusione” è appunto proprio il caotico passaggio tra l’arabo e l’ebraico. Ebraico parlato con accento arabo, arabo parlato con accento ebraico, gli agenti israeliani come in una sorta di Effetto Stanislavskij finiscono spesso per parlare arabo anche tra loro in contesti diversi dalle missioni, momenti d’intimità inclusi. Le due lingue saranno comunque anche in Fauda effettivamente quasi sempre percepite come “lingua del nemico”, e quindi la conoscenza di esse sarà sempre puramente strategica e funzionale alla situazione conflittuale. Oltre la fiction però, come ho scritto altre volte, nell’arabo palestinese sono sempre più frequenti termini e costruzioni ebraiche, così come nell’ebraico moderno, soprattutto nel linguaggio giovanile. Non è soltanto un fenomeno contemporaneo, il substrato linguistico dell’arabo palestinese è proprio l’aramaico e l’ebraico antico – circostanza presa come conferma per quelle teorie, vedasi Israel Belkind, il movimento canaanita, o le tesi del controverso ricercatore Tsvi Misinai, secondo cui i palestinesi sarebbero i discendenti degli antichi ebrei dell’area -. Ben Yehuda, che per la rinascita dell’ebraico moderno prese come risorsa anche l’arabo, pare affermò per l’appunto: “the roots of Arabic were once a part of the Hebrew language… lost, and now we have found them again”. Sempre più cantanti israeliani, specie di origine mizrahita, cantano in arabo, lo stesso fanno all’inverso gli arabi di Israele, anche per ampliare il proprio pubblico o per testi di denuncia sociale. Una canzone dei Tuna, un gruppo molto popolare, si intitola “Seret Aravi”, e parla di un’epoca nella quale in Israele era attivo un solo canale televisivo con la cessazione delle programmazioni durante lo Shabbat. Gli israeliani allora spesso riuscivano ad intercettare le TV dei paesi confinanti, la canzone è dunque proprio una parodia dei film egiziani degli anni ’80. Il testo, giocando sulle similitudini tra le due lingue, opera una vera e propria sintesi tra arabo e ebraico, creando un linguaggio confuso ed indistinguibile. Un blog trovato in rete dal nome “the electronic Intifada”, gestito da un palestinese, ospita una pagina curiosa: “In Gaza, I found Hebrew everywhere”, dove riporta varie foto di prodotti o veicoli, recanti scritte in ebraico, provenienti da Israele, tra esse si trova persino una t-shirt comprata al mercato dei vestiti originariamente creata da un gruppo giovanile sionista. Alcuni vedono nelle due lingue, e nella loro affinità, una chiave per risolvere il conflitto. Probabile che un giorno l’ebraico sarà sempre più “arabizzato” e l’arabo palestinese “ebraicizzato”, tanto da diventare due lingue totalmente intellegibili, un po’ come nella canzone dei Tuna. Proprio in merito a Fauda, e alla discussa proposta di legge avanzata da Avi Dichter, secondo cui l’arabo passerebbe da ufficiale a “a statuto speciale” – alcuni opinionisti sostengono che di fatto non cambierà niente -, un articolo su Haaretz firmato da Amit Levi, affermava che in Israele l’arabo viene usato specie nelle pubblicità per “spaventare”, quando secondo l’autore, questo essendo parte dell’area in cui Israele è nato, dovrebbe diventare più familiare, ed entrare a far parte della quotidianità di chiunque. Per certi aspetti, come ho raccontato, è già così.
Francesco Moises Bassano