La mostra – La bicicletta di Eva
In occasione della 101esima edizione del Giro d’Italia che da Gerusalemme sta portando la carovana rosa a Roma, la Fondazione Museo della Shoah, in collaborazione con l’Archivio Baumann e Fischer e con i patrocini dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità ebraica di Roma, propone la mostra “La bicicletta di Eva” che si inaugura martedì 22 maggio alle 18.30 alla Casina dei Vallati. Una retrospettiva dedicata alla grande pittrice Eva Fischer, scomparsa nel 2015, e al suo rapporto speciale con le due ruote.
A illustrarcelo, in alcuni risvolti storico-familiari di grande significato, è il figlio Alan David. Con il suo aiuto, in un contributo pubblicato sul numero di maggio di Pagine Ebraiche, andiamo alla scoperta delle opere più significative che ha dedicato alla bicicletta tra identità e Memoria.
All’inaugurazione, oltre al figlio, interverranno il Presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, la Presidente UCEI Noemi Di Segni, la Presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello,. Un’introduzione scientifica sarà tenuta da David Meghnagi, assessore alla Cultura dell’Unione.
“Non ero una partigiana: mi limitavo a girare in bicicletta per entrare nei teatri e nei cinema di Bologna, dover affiggevo manifesti per spingere alla lotta contro i nazifascisti”.
Questa era la risposta che per tutta la vita Eva Fischer dava a chi le chiedesse per quale motivo fosse membro onorario dell’Associazione Nazionale Partigiani.
Era giunta in Emilia Romagna nel 1943, assieme alla madre Cornelia ed il fratello minore Roberto che aveva 13 anni. Erano riusciti a consegnarsi agli italiani lungo la costa adriatica, fuggendo da una Belgrado dove la ferocia nazista aveva già deportato il padre Leopoldo, Rabbino capo e talmudista. Avevano poi avuto il permesso di allontanarsi dal campo di raccolta dell’Isola di Curzola per curare Cornelia in un ospedale. Trovarono una Bologna occupata da poco e dovettero vivere sotto false identità. Ma trovarono anche quegli “italiani brava gente” e l’aiuto di Giustizia e Libertà, mai svaniti dalla memoria.
Eva era nata in Jugoslavia nel 1920 ed aveva portato a termine rapidamente – grazie al suo estro – gli studi presso l’accademia di belle arti di Lione (Francia), per poi raggiungere la sua famiglia, che intanto si era trasferita a Belgrado, proprio in tempo per il bombardamento tedesco e l’inizio dell’inferno.
A guerra finita, aveva 25 anni quando decise di portare a Roma sua madre, il fratellino e la sua bicicletta bolognese, perché la Caput Mundi significava per lei il fulcro dell’arte.
Quella bicicletta era sopravvissuta al conflitto, ai faticosi percorsi tra i sette colli, all’acquisto della prima autovettura alla fine degli anni ’50. Il suo scheletro metallico ha esalato l’ultima pedalata verso gli anni ’70, per poi lasciarsi sbriciolare definitivamente dalla ruggine in un balcone di Trastevere. Ma come può riuscire solo per merito di una fata-artista, quella Bicicletta è stata resa immortale dalle stesse mani che l’hanno guidata per decenni. Per Eva la bicicletta poteva innamorarsi, rompersi, stancarsi, riposarsi, nascondersi ed ancora fare ombra, aiutare a fuggire, portare in luoghi reali o della fantasia, morire.
Ecco il meccanico che rimette in sesto la catena, il gommista che ripara una foratura. Ed ecco le magliette per i professionisti che dovranno affrontarsi in gara, o il ciclo evolutivo che al desueto triciclo, sostituisce una piccola bicicletta con le rotelline di supporto. Ed ecco il bimbo cresciuto sfrecciare con un manubrio sportivo.
La bicicletta di Eva si è spesso appoggiata, stanca, all’ombrellone di un mercato rionale romano, ma ha portato silenziosa per anni la spesa, le persone, le cose disparate, lamentandosi raramente, col suo impegno “nei secoli fedele”. Ha dato equilibrio, gioia, stanchezza sempre remunerata dal raggiungimento di una meta. Quando il 9 maggio del 1963 Eva si unì in matrimonio con Alberto Baumann, la troupe del cinegiornale portò al Campidoglio di Roma delle biciclette per gli sposi e gli invitati. Il giro della città venne immortalato su pellicola.
A fine secolo alcune televisioni trasmisero il “Matrimonio su due ruote” (guardatelo su YouTube) e lascio immaginare la gioia e lo stupore nel rivedere i propri cari nel pieno della loro gioventù e riconoscere dietro a loro gli amici più cari definiti “zii”. Non è capitato a molti, di godere della felicità dei propri genitori in un giorno per loro importante, in quei tempi non ancora saturi da telecamere e macchine fotografiche.
Le bici sono state la salvezza e le compagne di molte persone. Dal velocipede alle odierne assistite elettricamente, con la canna da uomo o la possibilità di essere pedalate da chi indossa una gonna, hanno anche rappresentato il forte legame tra l’uomo e la Natura.
La bicicletta di Eva continua a stupire per le sue forme espressive e le pose umanizzate. In fondo, come diceva Einstein, “La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti”.
Alan David Baumann, Pagine Ebraiche maggio 2018
(18 maggio 2018)