Identità
Kafka era uno scrittore ceco? Austroungarico? O magari (considerando la lingua in cui scriveva) tedesco? Chissà perché – immagino per evitare ripetizioni – sembra che gli allievi non possano fare a meno di scegliere un aggettivo per ciascun artista/scrittore/filosofo/scienziato di cui scrivono. Per far capire che talvolta le definizioni fondate sui luoghi di nascita possono essere problematiche butto lì qualche provocazione: definireste Talete un filosofo turco? Terenzio un commediografo tunisino? Catullo un poeta veneto? Archimede un matematico siciliano? Le nostre identità sono molteplici e fluttuanti, se poi ci si mettono anche i confini che cambiano, gli stati che nascono e si disgregano, conquistano e vengono conquistati non sempre ne veniamo a capo. Per Kafka, comunque, suggerisco “praghese” (scoprirò poi che è la stessa soluzione adottata da Wikipedia) e mi rendo conto che a nessuno, secondo me giustamente, viene in mente di definirlo “ebreo”. Del resto Albert Einstein era un “fisico tedesco naturalizzato svizzero e statunitense” e Martin Buber un “filosofo austriaco naturalizzato israeliano”. L’identità ebraica è personale, soggettiva, complessa, il luogo di nascita ha una sua tranquillizzante oggettività; ancora più oggettiva della città natale è la cittadinanza: salvo rare eccezioni è in base a quella che veniamo definiti e classificati, che ci piaccia o meno.
Quando uno o più ebrei prendono posizione sulla politica israeliana, qualunque cosa dicano, che sia per criticare o per difendere le scelte del governo israeliano in carica, quasi sempre tendono a farlo come se fossero cittadini di Israele, con la passione di chi giudica dall’interno, con la severità che si riserva solo ai propri governanti, con il senso di urgenza di chi si sente coinvolto in prima persona e in qualche modo direttamente responsabile. Un gruppo di ebrei italiani (alcuni dei quali con tanto di voce Wikipedia che li definisce ufficialmente italiani indipendentemente dal luogo di nascita) che pubblica su un quotidiano un appello su Israele, a mio parere, non può essere accusato di voler prendere le distanze, o di volersi distinguere; anzi, casomai li si dovrebbe accusare esattamente del contrario: di essere così visceralmente attaccati a Israele, così fortemente appassionati alle sue vicende, da dimenticarsi di essere cittadini italiani che scrivono su un giornale italiano e non cittadini israeliani che scrivono su un giornale israeliano.
Non scrivo questo per il gusto di esprimere una tesi paradossale, lo scrivo perché ne sono profondamente convinta. Chiunque abbia seguito, anche solo in parte, gli scambi di mail, le discussioni, la passione, che stanno dietro a questo genere di appelli non può avere dubbi sull’attaccamento sincero verso Israele di chi li scrive e li pubblica. Una passione che a volte mi mette a disagio perché personalmente non credo che gli italiani in Italia possano pensare e scrivere come se fossero israeliani in Israele. Il reciproco riconoscimento di questo forte attaccamento verso Israele potrebbe essere, a mio parere, un buon punto di partenza per qualunque genere di confronto all’interno del mondo ebraico italiano. E allora, forse, nessuno sentirebbe più il bisogno di esprimersi all’esterno.
Anna Segre