“Knesset, espulsioni possibili
per chi sostiene il terrorismo”

L’alta Corte di Giustizia israeliana ha confermato l’impostazione sancita da una legge del 2016 – la “Legge sull’espulsione” – respingendo all’unanimità un ricorso presentato in tal senso da alcuni deputati arabi e da un’associazione umanitaria: parlamentari accusati di razzismo, supporto ad azioni armate contro lo Stato di Israele o di sostegno a organizzazioni terroristiche potranno essere rimossi dall’incarico nel caso in cui almeno 90 deputati (sui 120 che siedono alla Knesset) si trovino d’accordo ad agire in questa direzione.
Una legge che, ha spiegato la presidente della Corte suprema Esther Hayut, “non contraddice l’identità democratica dello Stato”. E questo in ragione dei tanti contrappesi e della scrupolosa verifica che andrà effettuata caso per caso. Ad ogni modo, ha raccomandato, “è bene che si percorra questa strada soltanto in casi eccezionali”.
Diversi gli episodi che avevano fatto parlare l’opinione pubblica nel recente passato. Tra cui la visita di tre esponenti arabi del partito Balad ai genitori di alcuni terroristi palestinesi che avevano commesso attacchi contro civili israeliani. Come riportato dai media, i tre avevano voluto omaggiare i terroristi rimasti uccisi con un minuto di silenzio.
Per quanto riguarda la tensione sempre aperta con Hamas continua a suscitare scarso interesse nei media, salvo poche eccezioni, la notizia che la morte della bambina palestinese di otto mesi durante le giornate di tensione nei pressi del confine della Striscia non sia in alcun modo imputabile all’azione israeliana.
La sua foto aveva fatto il giro del mondo. E sulla sua scomparsa Hamas aveva costruito una campagna propagandistica anti-israeliana che aveva fatto breccia. “Layla al Ghandour non è tra i martiri” ha comunicato negli scorsi giorni il ministero della Salute di Gaza. Peccato che in pochi se ne siano accorti.

(28 maggio 2018)