responsabilità…

Nel contesto di un grave episodio di ribellione suscitato dal popolo nel deserto, Mosè, in quell’occasione sopraffatto dallo sconforto, chiede al Signore di non dover sopportare da solo l’onere del comando; viene quindi affiancato da settanta saggi sui quali si riversa parte del suo stesso spirito profetico. A questi settanta si aggiungono, con analoga investitura spirituale, altri due personaggi, Eldad e Medad, la cui inattesa comparsa suscita il sospetto di Giosuè, l’aiutante di fiducia di Mosè – ne sarebbe poi stato il successore – il quale chiede al sommo profeta di intervenire duramente: “O mio signore Mosè, puniscili!” (Numeri 11, 28). La punizione a cui si riferisce Giosuè, che in senso letterale può essere intesa come una forma di limitazione della libertà personale, è invece interpretata dal midrash in senso metaforico: proprio l’assegnazione di pubbliche responsabilità a questi due personaggi, sarebbe stata la loro punizione, nel senso che il conseguente carico di incombenze e responsabilità sarebbe gravato su di loro, schiacciandoli o comunque riconducendoli a più limitati propositi. È evidente il senso del midrash, che definisce l’esercizio del potere nelle sue implicazioni più faticose ed estenuanti per chi se ne fa carico, piuttosto che una gestione di privilegi da pregustare ambiziosamente. È poi la parola stessa della Torà a completare il quadro di valori in cui si definisce il ruolo del leader ideale; la richiesta di censura verso i due improvvisati esponenti profetici viene infatti respinta da Mosè, il quale, anziché concepire il proprio ruolo di leader come fonte di potere da custodire gelosamente, si augura che tanti altri del popolo potessero elevarsi spiritualmente, al punto da assumere anch’essi analoghi compiti di responsabilità: “Mosè gli rispose: Vuoi essere geloso per me? Magari tutto il popolo dell’Eterno fosse formato da profeti e l’Eterno volesse porre il Suo spirito su di loro” (Numeri 11,29).

Giuseppe Momigliano, rabbino

(30 maggio 2018)