La Memoria, tra luci e ombre
A 80 anni dall’emanazione delle Leggi razziste, nell’ambito della riflessione sulle responsabilità avviata in occasione dell’anniversario, un approfondimento con illustri esperti convocati a Roma dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per parlare di “Luci e ombre nei processi per crimini di guerra in Italia” ha offerto, al pubblico che ha assistito ai lavori nel complesso delle Terme di Diocleziano, una molteplicità di spunti.
“Su questo specifico tema c’è stata una risposta istituzionale: la risposta di un sistema alle azioni del singolo criminale. Ma non è stata data una risposta di sistema al sistema che ha generato tali mostruosità. Una riflessione quanto mai attuale, anche sul piano dei presidi costituzionali più che mai da difendere. La stretta cronaca di queste giornate – ha affermato la Presidente UCEI Noemi Di Segni, inaugurando il convegno – ci dimostra che non è stato fatto abbastanza”.
Quattro le prospettive illustrate da Gianluca Fulvetti, storico, ricercatore di Storia Contemporanea presso l’Università di Pisa e autore di varie pubblicazioni scientifiche sul tema delle stragi di civili durante l’occupazione tedesca. Lo sguardo degli Alleati, con un focus sui processi celebrati da Norimberga in poi. Lo sguardo italiano, tra Memoria e rimozione (su tutti vale il caso del cosiddetto “armadio della vergogna”). Lo sguardo delle vittime, alle prese con un complesso riconoscimento dei propri diritti. E poi uno sguardo locale, ma assai significativo: quello relativo all’eccidio consumatosi alla Farneta, in provincia di Lucca, con l’uccisione di dodici monaci “colpevoli” di aver dato ospitalità a ebrei e altri perseguitati. “Spesso, quando si parla di quei fatti, ci si dimentica di ricordare che furono i fascisti a indicare i monaci ai nazisti. C’è un rischio – ha affermato lo studioso – ed è quello di rafforzare il paradigma vittimario”.
Ha preso poi la parola Giovanni Canzio, magistrato, già Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione. Per molti anni ha fatto parte della I Sezione Penale della Corte di Cassazione nel cui ambito si è occupato di vari processi penali militari per crimini di guerra, fra cui quello contro il gerarca nazista Erich Priebke. Proprio in relazione a questa figura e al processo sull’eccidio delle Fosse Ardeatine, Canzio ha ricordato come il problema più arduo fu respingere la tesi del dovere di esecuzione di ordini superiori sostenuta dalla difesa di Priebke. “Per fortuna – la sua riflessione – fu sancito allora quello che è oggi un pilastro giuridico: e cioè che quando un ordine è manifestamente criminoso ad esserci imposta è la disobbedienza. Non certo l’obbedienza”.
Tra i problemi della giustizia evidenziati da Marco De Paolis, magistrato, a capo della Procura Militare di Roma e istruttore di diverse indagini per crimini di guerra tedeschi in Italia, “c’è quello che spesso arriva troppo tardi”. De Paolis, che è stato l’accusa in vari processi che hanno suscitato emozione nell’opinione pubblica (fra cui Marzabotto, S. Anna di Stazzema e Cefalonia), ha anche ricordato l’aspetto anomalo di alcune vicende. Come nel caso, appunto, dell’incriminazione di Priebke. “Una storia, con il suo carico di responsabilità – ha sottolineato – su cui si sono riaccesi i riflettori soltanto in seguito a una inchiesta giornalistica”.
È toccato poi al magistrato tedesco Thomas Will concludere l’incontro. Vice Procuratore presso l’Ufficio Centrale delle Amministrazioni Giudiziarie Regionali per gli accertamenti dei crimini nazisti di Ludwigsburg, una realtà specificamente dedicata a questo tema, ha illustrato le sfide e le principali criticità del suo lavoro. Un impegno che parte da lontano e che, ha detto, “sta colmando il gap di una giurisdizione che per diverso tempo non è stata all’altezza”.
(31 maggio 2018)