PROTAGONISTI Umberto Terracini, un uomo libero

terraciniMarta Nicolo / IMPEGNO CONTROCORRENTE / Zamorani

Che Umberto Terracini (1895-1983) considerasse la propria attenzione per il mondo ebraico come una dimensione essenziale del suo essere comunista non ci sono dubbi. Dire invece che quel suo spiccato interesse fosse in piena sintonia con la tradizione e la storia del partito comunista italiano sarebbe un errore. Terracini, come per molte altre cose, fu un’eccezione. Basti confrontare anche solo la continuità con cui non distolse mai lo sguardo dalle vicende degli ebrei con l’episodicità dell’interesse mostrato al riguardo da molti suoi compagni e dall’insieme del partito, mossi più da ragioni politiche di altra natura o legate alle necessita del momento che non da convinzioni profonde e inderogabili: la lotta antifascista, la memoria della guerra, le discussioni sul Medio Oriente o altro ancora. Perché allora l’eccezione Terracini? Richiamare, come fanno alcuni, le sue pur inoppugnabili radici ebraiche è troppo poco. Nel gruppo dirigente del PCI anche altri avevano ascendenze simili, ma non per questo – si pensi ad esempio a Emilio Sereni – manifestarono le sue stesse aperture. Certo, la provenienza ebraica e l’educazione ricevuta in gioventù non mancarono di sviluppare in lui una particolare sensibilità a quel mondo, favorendo una vicinanza e una comprensione che per un non ebreo sarebbero state assai meno immediate. Ma ci fu anche dell’altro. Non va sottovalutato che essere finito nelle prigioni fasciste molto presto tenne al riparo Terracini da molte delle nefaste influenze dello stalinismo, cui soggiacquero al contrario altri dirigenti comunisti. Quando poi, nel ’43, torno in liberta, dovette misurarsi in prima persona con il rischio concreto di essere deportato. Se a tutto questo aggiungiamo una indipendenza di giudizio mantenuta con incrollabile fermezza pur in condizioni difficilissime, e la convinzione che fosse l’uomo a dover stare al primo posto e non il partito, mezzo e non fine dell’azione politica, è forse possibile abbozzare una risposta meno ovvia al quesito da cui siamo partiti. È un fatto in ogni caso che, quando alla fine della guerra gli ebrei, fino ad allora al centro di una campagna feroce, ridivennero invisibili per la generalità della popolazione, Terracini tenne lo sguardo fisso su di loro. Seppe infatti riconoscere la loro presenza nei luoghi in cui essa si rese ineludibile lungo il corso degli anni e fu capace di offrire ogni volta un sostegno tanto necessario quanto non scontato. Al riguardo questo libro – grazie a una ricca documentazione in buona parte inedita – è chiaro ed esauriente. Marta Nicolo : IMPEGNO CONTROCORRENTE : ZamoraniIl primo di quei luoghi fu la società italiana del dopoguerra, che fece ben poco per reintegrare le vittime delle leggi razziali e delle deportazioni: il secondo fu il Medio Oriente, dove il nuovo Stato di Israele e le speranze che incarnava furono oggetto di un rifiuto via via sempre piu radicale. Il terzo fu l’Unione Sovietica, nella quale l’antisemitismo divento con il passare degli anni un fatto di prima grandezza, tale da mettere in questione la fiducia di tanti nelle sorti progressive del socialismo reale. Terracini segui tutto questo con cura e consapevolezza, facendone oggetto di riflessioni pubbliche e di azioni coraggiose, senza naturalmente rinunciare agli altri versanti della sua azione politica e trasponendo nelle iniziative rivolte al mondo ebraico molto della sua esperienza e delle sue specifiche competenze. Ne esito ad affermare le proprie idee anche quando il partito si mostro in aperto disaccordo con lui, rifuggendo tuttavia da pratiche frazionistiche e preferendo invece aprire la propria rete di relazioni verso l’esterno, in Italia e all’estero. Ma soprattutto, oltre ad intervenire in Parlamento, sulla stampa e ovunque gli fosse possibile, non rinuncio mai, su tutti e tre i fronti nei quali si sentiva impegnato, a mettersi in gioco personalmente, per essere più efficace e per non perdere mai il rapporto diretto con i propri interlocutori. (introduzione a Marta Nicolo – “Un impegno controcorrente – Umberto Terracini e gli ebrei 1945-1983” – Zamorani editore)

Fabio Levi, Università di Torino
Pagine Ebraiche, giugno 2018

Gioventù ebraica e grandi ideali

Umberto Terracini nasce a Genova il 27 luglio 1895; i genitori Jair Terracini e Adele Segre appartenevano entrambi a famiglie della media borghesia ebraica piemontese. Da ragazzino – sono parole sue – «gli unici svaghi erano di assistere alle funzioni di culto in Sinagoga, venerdì sera e il sabato, e in qualche visita nelle case dei compagni di scuola». La famiglia Terracini era una classica famiglia «ebrea o israelitica». Dopo la morte prematura del padre, Umberto si trasferisce con la madre e i fratelli a Torino dove frequenta la scuola ebraica Colonna e Finzi. Intorno al 1910, su iniziativa del rabbino Bolaffio, raccoglie nelle case della Torino ebraica le offerte al Keren Kayemet Leisrael per comprare terra in Palestina. Terminate la scuola ebraica si iscrive al Liceo Gioberti e in quegli anni cresce il suo entusiasmo per le idee socialiste, grazie anche all’amicizia con uno studente delle classi superiori, Angelo Tasca, il quale nel 1911 lo accompagna a iscriversi al Fascio socialista giovanile. L’evento che avvicina definitivamente Terracini al socialismo è la guerra di Libia del 1911, in particolare la ribellione contro la propaganda nazionalista: «È allora che mi sentii definitivamente unito a quelli che, agitando bandiere rosse, gridavano imprecando contro la guerra». Durante gli anni del liceo e dell’Università forma con Antonio Gramsci, Angelo Tasca e Palmiro Togliatti il gruppo di amici e militanti che progetterà «L’Ordine Nuovo» e nel 1921 fonderà il Partito comunista italiano. Terracini sposa senza riserve la causa del comunismo e, come molti ebrei in tutta Europa, quali Lev Trockij, Rosa Luxemburg, Grigorij Zinov’ev, Karl Radek, sembra relegare nel privato più intimo la propria origine ebraica. Comunista e rigorosamente laico in fatto di religione, è stato definito da Renzo Gianotti, curatore della sua prima biografia, con una formula ancora tutta da sciogliere: «uno dei tanti ebrei né religiosi né nazionalisti, intimamente legato al carattere ebraico e quindi poco disponibile nei confronti della prospettiva, non ebraica, di una completa assimilazione » (…).