Leo Diena, l’antifascista
Una ricostruzione storica e al contempo intimista della vita di Leo Diena, antifascista e organizzatore sindacale nel Partito d’Azione, partigiano, ricercatore sociale. È quella che emerge dal libro Una ricerca: Leo Diena, l’antifascismo, la Resistenza, le radici, Edizioni Seb 27 (2018), scritta dalla moglie Anna Graselli e dal figlio Clemente Diena. Il volume è stato presentato nei locali della Comunità ebraica di Torino, nel corso di un evento organizzato dal Gruppo di Studi Ebraici, a cui hanno preso parte, assieme agli autori, Luciano Boccalatte, direttore dell’Istoreto, Tullio Levi, presidente del Gruppo di Studi Ebraici e Bruno Contini, docente dell’Università di Torino. A moderare gli interventi Fredy Montagnana.
Una biografia singolare che ripercorre le vicende di Diena basandosi sulla morfologia della fiaba individuata dallo studioso russo Vladimir Propp. Propp arriva a parlare di un’omogeneità strutturale di tutte le fiabe, la cui trama si può ricondurre ad alcuni elementi ricorrenti, tra cui l’eroe (Leo Diena) e l’antagonista (il nazifascismo), il percorso che deve compiere l’eroe etichettato come “prova”, che comporta la lotta con l’antagonista (lotta antifascista) che termina con la vittoria (Liberazione). La morfologia della fiaba viene quindi calata sulla figura di Leo Diena, ha spiegato Tullio Levi.
Centralità assoluta viene data alle prove, due negative con esito nefasto, la prima l’impossibilità di salvare Primo Levi una volta arrestato, e la seconda il mancato trasferimento in Svizzera di Franco Tedeschi. Una terza positiva, che si compie in seguito ad un’altra fase cruciale proppiana, quella del trasferimento e inizio del viaggio dell’eroe, che nel caso di Diena coincide con lo spostamento da Torino a Milano, dove svolse un ruolo cruciale come organizzatore sindacale nelle fabbriche e nelle cellule del Partito d’Azione, fino a diventare uno dei capi della sommossa di Porta Ticinese contro i nazisti poco prima della Liberazione.
Al dualismo fiaba-realtà, ne affiora un altro di stampo metodologico, che Luciano Boccalatte ha definito “oggettività storica e soggettività degli affetti”, le due modalità di ricostruzione della figura di Leo Diena a partire dai testi autobiografici che forniscono un racconto retrospettivo in prosa, a cui si somma la registrazione familiare. A mettere in luce il ruolo di Diena nelle fabbriche, prima come organizzatore clandestino nei Cln aziendali, poi dopo la guerra come studioso dei rapporti di lavoro osservati in tre realtà specifiche, l’Olivetti di Ivrea, la Necchi di Pavia e l’Umanitaria di Milano, Bruno Contini. “Diena ha rivestito un ruolo cruciale nello sviluppo dello studio delle relazioni umane, un ruolo che segna un punto d’incontro tra il sociale e ricerca sociologica, declinata in specifici temi di studio, quali la produttività operaia, il richiamo all’ideologia olivettiana, l’aspetto umano del lavoro, il rapporto tra lavoro e tempo libero, la relazione tra immigrazione e mobilità sociale, fino ad intraprendere la carriera accademica nel campo della Metodologia della ricerca sociale, interesse che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni”.
Alice Fubini