Periscopio – Kennedy
Combattuto, nella scelta dell’argomento da commentare nella mia nota settimanale, tra l’insediamento del nuovo governo italiano (che, a mio avviso, non va tanto giudicato dalle persone dei suoi membri, né dai contenuti del cd. ‘contratto’ a esso collegato, quanto dagli umori profondi che esprime, dai sentimenti e le pulsioni prevalenti tra gli elettori che rappresenta, dalla direzione dell’impetuoso vento che sembra gonfiarne le vele) e l’ennesima recrudescenza delle attività ricreative dei terroristi di Gaza (col puntuale contorno dei nauseabondi commenti della stampa internazionale di fronte alle reazioni difensive da esse generate), ho deciso infine di dire due parole in occasione del cinquantesimo anniversario (caduto ieri, 5 giugno) dell’assassinio di una delle più grandi anime del secolo scorso, Robert Kennedy, la cui drammatica fine ha segnato senza dubbio – insieme a quella del suo fratello elettivo di tante battaglie, Martin Luther King, ucciso due mesi prima, il 4 aprile del 1968 – la brusca fine di un sogno, di un’epoca, di un’utopia che aveva scaldato, in tutto il mondo, milioni di cuori.
Quanto è lontano, viene da chiedersi, il mondo di oggi da quello in cui vissero e lottarono Kennedy e King? Semplificando, credo che si possano indicare un elemento di grande vicinanza e uno di grande lontananza. La vicinanza risiede nel fatto che le forze malefiche contro cui combatterono i due grandi americani – il razzismo, la prevaricazione, l’oscurantismo, l’antisemitismo e l’antisionismo (entrambi, com’è noto – soprattutto Kennedy -, furono sempre strenui difensori di Israele, a differenza di tanti falsi predicatori di giustizia, come, ieri, Malcom X, e, oggi, quelli di “black lives matter”) – appaiono, ai nostri giorni, in tutto il mondo, ancora quanto mai virulente e aggressive.
Come elemento di lontananza, va invece segnalata la completa, assoluta, desolante assenza, nel tempo attuale, di qualsiasi, benché minimo, orizzonte di speranza, una parola che pare ormai diventata sinonimo di ingenuità, debolezza, illusione. Sperano i perdenti, perché si illudono che il futuro porti qualcosa di meglio del presente, e la porti per tutti, non solo per loro. I vincenti, i furbi, i duri, non perdono tempo con queste stupidaggini. Quello che gli serve, se lo prendono da soli, qui e ora, e, per quelli che restano fuori, peggio per loro. Come dice qualcuno, la pacchia non può essere per tutti. Parafrasando quello che Manzoni fa dire all’Innominato di Dio, la speranza è l’alibi dei deboli.
Eppure, nonostante i cinquant’anni trascorsi (che sembrano, per certi versi, cinquanta secoli), la parola di speranza Bob Kennedy, così come quella di King, appare ancora di estrema attualità, forse proprio perché il mondo di oggi sembra assai poco propenso ad ascoltarla. E ci piace, perciò, eleggere quella parola a metro di giudizio del presente. Riguardo ai due argomenti che ho ricordato all’inizio (governo italiano e Gaza) – tra i quali, ovviamente, non appare alcun diretto collegamento – non sappiamo cosa avrebbero detto i due grandi dello sbandierato ‘cambiamento’ promesso dai neogovernanti nostrani. Immaginiamo che non sarebbe loro piaciuto granché, e soprattutto, che le loro parole non sarebbero piaciute ai nostri vincitori. Anche, se, per onestà, devo dire che neanche nel fronte degli sconfitti avrebbero raccolto, probabilmente, molti ‘like’. Di fronte ai discorsi di un Kennedy o di un King, c’è da credere che gli italiani di oggi, quasi tutti, cambierebbero subito canale. Così come, spostandoci ai fatti del Medio Oriente, crediamo che le voci dei due profeti sarebbero risultate fuori dal coro, in quanto capaci di distinguere tra le posizioni di chi lancia missili carichi di bombe e di chi li riceve.
Kennedy e King lontani o vicini, dunque? Difficili dire, questioni di punti di vista. Quel che è certo, è che a farceli apparire più vicini che lontani, purtroppo, c’è il volto sinistro degli assassini che hanno spento le loro voci: rispettivamente, un terrorista palestinese e un suprematista bianco, entrambi esponenti di due categorie che, dopo cinquant’anni, sembrano ancora godere di ottima salute.
Francesco Lucrezi, storico
(6 giugno 2018)