…mutazioni

Dire che stiamo sperimentando il disorientamento sembra un eufemismo. Sono venuti meno punti di riferimento, valori e disvalori che credevamo consolidati. Non abbiamo neppure più la certezza di saper distinguere senza esitazione fra il lecito e l’illecito, fra il possibile e l’inevitabile, forse anche fra il bene e il male. Abbiamo perso anche la visione nitida che ci teneva a distanza dal disumano. Procediamo tentoni nella realtà di ogni giorno cercando di orientarci, passo dopo passo, e non siamo sicuri che la strada che abbiamo scelto sia quella giusta. A dircelo sarà il domani, ma sarà tardi per ritornare al bivio. Verrebbe voglia di citare una poesia sin troppo famosa di Robert Frost, ‘La strada che non ho preso’ (The Road Not Taken).
Ci sta cambiando sotto gli occhi la visione del mondo, e noi di questo cambiamento siamo responsabili quanto chiunque altro. Si cerca di capirlo e di spiegarlo. Pseudo-filosofi stanno cercando di teorizzarne cause e modalità, rifacendosi a nuovi modelli di pensiero. Si sta così proponendo il concetto di ‘neo-elitismo’. Il mondo è cambiato perché c’era una élite che teneva le redini del potere e che, soprattutto, era sin troppo consapevole del proprio ruolo di élite; si credeva migliore degli altri, e glielo faceva notare e glielo rinfacciava apertamente, con arroganza, umiliando la massa di cui esponeva l’inferiorità e la nullità. (Come se il mondo fosse sempre stato governato dalle masse e non invece dalle élite, a volte monocratiche.) È così, dunque, che l’élite è stata estromessa dai palazzi del potere, con una rivoluzione politica e culturale che ha sterminato politica e cultura. E il popolo si è ripreso in mano il proprio destino. Per farlo, tuttavia, ha dovuto dotarsi di nuovi capi e nuovi leader carismatici che possibilmente nulla sappiano di politica e di economia, di organizzazione dello stato e di cultura. Insomma, si è pensato che guide incontaminate da qualsiasi pratica di governo avrebbero più facilmente riconosciuto l’interesse del popolo e meglio praticato i valori della lealtà, della coerenza e, soprattutto, dell’onestà. Purtroppo, anche i più speranzosi, dovrebbero cominciare a nutrire i primi assillanti dubbi sulle loro illusioni.
Inesperienza, inettitudine e incompetenza sono diventati, dunque, requisiti preferenziali per la guida dello stato. Più primitivo è l’individuo, si è pensato, più è adatto a indicare la via naturale. Meno cultura egli ha più è adatto a stabilire quale cultura un paese debba perseguire. Sempre ammesso che la cultura sia un bene necessario a un paese. Ma, assieme all’ignoranza di regole che facciano funzionare lo stato, assieme alla noncuranza sprezzante di leggi che concilino democrazia, sicurezza e umanità, si sta imponendo anche il disprezzo per alcune regole del vivere civile, piccoli dettagli di stile e di rispetto di quelle istituzioni che danno senso al nostro riconoscerci paese. Se il capo dello Stato entra nel salone, è normale che io rimanga seduto, o sbracato, a braccia conserte, come se mi trovassi al bar con gli amici.
Incompetenza e beata ignoranza sono preoccupanti per chi si è proposto di guidare un paese e rischia di portarlo dritto verso il baratro economico. E non è meno grave che per distogliere il paese dalla novità di incerte politiche economiche si punti tutta l’attenzione sugli immigrati, rischiando di riportare in auge antichi e pretestuosi conflitti politico-sociali. Ma il dispregio per le forme del vivere civile che ci relazionano l’uno all’altro preparano pericolosamente al disprezzo per l’autorità, per l’istituzione e per chi ti sta accanto. Facilmente quel disprezzo si rivolgerà a chi fa parte di una minoranza. Il capro espiatorio. Tempo al tempo.
L’arroganza delle élite ha sempre dato giusto fastidio. Non meno fastidio danno la prevaricazione, l’assenza di regole condivise o il loro mancato rispetto, l’incoerenza che si rivela menzogna, la sottile prevaricazione, il privilegio economico accordato alle élite nel momento stesso in cui si dichiara di volerle combattere, il disprezzo per l’avversario politico.
Si finge di contrastare l’elitismo e si apre la strada al populismo più bieco, strumentalizzando le menti con la diffusione a cascata di notizie false, e usando ogni opinione diversa come pretesto per l’odio politico.
Per istillare l’odio per l’immigrato, ma è solo un esempio, si pubblica la foto di un ubriaco che urina in metropolitana, o la si condivide senza alcuna verifica. E ci si scrive sotto ‘Mandiamoli fuori tutti’. L’oggetto sono gli immigrati, ovviamente. Peccato che la metropolitana sia quella di New York, e che l’incivile sia un bianco, magari puro anglosassone e protestante. Ma chi ha condiviso quella foto è responsabile della propria irresponsabilità. Se poi il condivisore, repleto di insofferenza razzista, è, o è stato, una figura pubblica…
Il degrado della civiltà non ha limiti, e il grave è che la politica dominante non ne senta la responsabilità.
Ci si chiede, preoccupati, chi sarà la prossima vittima.

Dario Calimani, Università di Venezia

(19 giugno 2018)