Squadrismo

gadiIn un locale dell’Università degli Studi di Torino è stato organizzato un cosiddetto “seminario di auto-formazione” su “Ebrei italiani, fascismo e sionismo”. Il manifestino che lo preannuncia non è firmato, ma sui social viene accompagnato da una sorta di saggio storico (in realtà colmo di inesattezze, omissioni e ideologismi) nel quale si introduce il tema per giungere a due conclusioni apparentemente forti e rivoluzionarie (“ora ve la diciamo noi la verità!”, sembrano dire gli estensori del proclama). Primo: le istituzioni ufficiali dell’ebraismo italiano e del sionismo furono allineate al fascismo fino al 1938, mentre solo una minoranza degli ebrei fu antifascista militante (e qui basterebbe sostituire il lemma ebrei-ebraismo con Italia per darsi una qualche forma di spiegazione). Secondo: oggi l’Unione delle Comunità Ebraiche e anche le singole comunità sarebbero “asservite” al sionismo e si comporterebbero come consolati “dello stato razzista coloniale”.
Il dazebao che accompagna l’evento è costruito a tutti gli effetti in maniera minacciosa. Un logo tondo con le scritte “antisionismo è antifascismo” fa da cornice alle classiche bandiere dell’anarco-insurrezionalismo nera e rossa, solo che una delle due bandiere è sostituita dalla bandiera palestinese. In calce all’editto, in grassetto compaiono due dictat ideologici apparentemente imprescindibili: “L’antifascismo è anche antisionismo” e “l’antisionismo deve diventare una discriminante per la cultura e il movimento antifascista sia a livello popolare che a livello istituzionale”.
Il testo e le simbologie utilizzate sono gravi e allarmanti. Non si indicano più come avversari lo stato d’Israele e i suoi prodotti di esportazione (propaganda BDS), ma direttamente le piccole e inermi comunità ebraiche italiane, che vengono disegnate per quello che non sono né intendono essere. Si tratta di un preoccupante esempio di squadrismo verbale, che rischia (viste le frange estremiste a cui evidentemente si rivolge) di trasformarsi rapidamente in azioni di fatto contro una comunità religiosa che viene indicata a più riprese come istituzionalmente corresponsabile del fascismo storico e, oggi, delle azioni di uno stato sovrano come Israele. Ancor più grave che questa strategia sia espressa liberamente in ambienti concessi da un’Università statale, che si fa veicolo di evidenti ed esplicite minacce antisemite a ottant’anni da quel 1938 in cui la stessa Università fu protagonista dell’espulsione di docenti e studenti di “razza” ebraica, episodio che avviò quella lunga stagione di persecuzioni che condusse all’annichilimento dell’ebraismo europeo.
Gli estensori del proclama fanno il gioco delle tre carte: confondono volutamente i piani, giocando in maniera ignorante e solo apparentemente colta con i termini ebreo, sionismo e comunità ebraiche. Fanno un lavoro raffinato e pericoloso per le più elementari regole della nostra democrazia, distorcendo la storia e piegandola a esigenze ideologiche, arruolando in un ipotetico impeto rivoluzionario e libertario le masse palestinesi. Immediatamente sotto il simbolo di cui si è detto, compare un ulteriore immagine: un bambino con il capo chino oppresso da un enorme peso e sovrastato dalla scritta “freedom for Palestine – boycott Israel” (chissà perché in inglese…). L’intento è ancora una volta chiaro e minaccioso: studiamo “Ebrei italiani, fascismo e sionismo” per scoprire e combattere i veri oppressori e responsabili del conflitto in Medioriente. Chissà cosa direbbe oggi leggendo questi testi Enzo Sereni (peraltro citato nel testo che introduce il seminario torinese). Figlio della borghesia ebraica romana dalle forti antiche e radicate tradizioni religiose, sionista della prima ora, pacifista, socialista e sindacalista, partigiano, estensore di una storia del fascismo, che si fece paracadutare in Italia per combattere i nazisti e i fascisti e che venne catturato e morì a Dachau. Nel suo ricordo, e per difendere la sua storia autentica, nonché per combattere questo riemergente squadrismo (non importa di che colore), la cosa migliore è quella di mettersi a studiare. La Fondazione CDEC lo sta facendo attivamente, avviando una lunga ricerca sulla partecipazione degli ebrei italiani alla resistenza antifascista: più che di un episodio si trattò di un movimento, un’azione collettiva generata da motivazioni politiche, situazioni estreme e spinte interiori. Quando si capirà che la storia va innanzitutto rispettata e studiata, e non ammette di essere vilipesa, negata o manipolata, si sarà sulla strada giusta per fare del doveroso e sano antifascismo, quel valore civile e democratico che si pone alla base della nostra costituzione repubblicana.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(19 giugno 2018)