Demagogia e conformismo

valentina di palmaKorach non è solo, come scrive Rav Jonathan Sacks, uno tra i primi populisti della storia il quale, come ogni demagogo, si erge ad unico rappresentante degli interessi del popolo, delegittimando le voci altrui.
Intanto, Korach è un ribelle più vicino, più intimo degli esploratori, più di coloro che si sono costruiti il vitello d’oro, più di quanti si lamentano della mancanza di cibo e di acqua e vorrebbero tornare in Egitto già appena passato lo Yam Suf: proviene infatti dalla stessa famiglia di Moshe, di cui è cugino, e secondo un midrash dell’umiltà propria dei Leviti tradisce l’appartenenza accumulando ricchezze ed interessandosi, più che allo studio della Torà, al possesso di beni materiali (BeMidbar Rabbà 18,12).
Korach è anche un sobillatore che merita meno compassione di altri, perché non ha motivazioni diverse dall’interesse personale e dall’ambizione, non la paura, non la stanchezza, non la debilitazione fisica, tanto che secondo i nostri Maestri rappresenta la ribellione peggiore, quella che non ha come scopo il bene della collettività, pur appellandosi ad esso (Pirké Avot 5, 23: quella di Korach non è una controversia ‘in nome del cielo’, con scopi superiori volti alla ricerca della verità morale, come quella tra Shammay ed Hillel).
Korach solletica il nostro conformismo, il senso di appartenenza alla folla di manzoniana memoria e di mobilitazione in nome di una causa comune, sostenendo di lottare per tutti in nome di una società più democratica (‘tutta la comunità sono tutti santi’, BeMidbar 16, 3), ed allo stesso tempo è sapiente nel toccare ognuno nelle sue vanità sfruttandone le debolezze personali, e mostrando così di conoscere sapientemente di tutti ambizioni ed invidie.
Korach riesce ad appellarsi all’ira che, per una ragione o per l’altra, i rancorosi covano nei confronti del prossimo, e a trasformare l’invidia in risentimento. Korach blandisce e suade, invita a banchetti ed in tali occasioni riempie i convenuti, oltre che di cibo, di lashon harà, fomentando invidie e risentimenti, e muovendoli con argomenti capziosi e falsi ragionamenti sino a contestare la mitzvà dello tzitzit e tutte le mitzvot in toto, come ricorda il midrash (BeMidbar Rabbà 18,1-3).
Ma c’è una speranza, quella del libero arbitrio, anche contro la fedeltà al proprio sangue: i tre figli di Korach non lo seguono nel suo complotto contro Moshe ed Aharon, comprendono che ad essere fuori dalla collettività e dagli interessi comuni non erano i due leader, ma loro padre, ed il Talmud ricorda che furono salvati (Meghillà 14a).

Sara Valentina Di Palma

(21 giugno 2018)