JCiak – Il dolore del mare

Arriva al cinema con un tempismo perfetto e un titolo da Shakespeare. Sea sorrow – Il dolore del mare, debutto alla regia di Vanessa Redgrave, esce nelle sale in occasione della Giornata mondiale del rifugiato indetta dall’Onu e rimescola passato e presente per parlare di migranti, diritti umani e umanità in un’accorata riflessione che intreccia repertorio d’epoca, interviste e letture. Tornano le immagini dei treni che nella seconda guerra mondiale portarono in salvo i bambini ebrei in Inghilterra e quelli presi oggi d’assalto dai profughi siriani, i bombardamenti di Londra, l’evacuazione della “giungla” di Calais e il piccolo Alan Kurdi morto su una spiaggia turca.
Le voci di Emma Thompson e Ralph Fiennes cuciono, sul filo de La Tempesta di Shakespeare (il titolo viene da qui), una tragedia di proporzioni immane. Il film è stato presentato a Cannes lo scorso anno e non scende nella stretta attualità. Quella la vediamo purtroppo sulle pagine sui giornali. La peregrinazione della nave Aquarius, i gommoni che solcano il Mediterraneo con il loro carico disperato, i bambini strappati alle famiglie sul confine tra Messico e Stati Uniti.
Prodotto da Vanessa Redgrave insieme al figlio Carlo Nero, avuto con l’attore Franco Nero, Il dolore del mare prende spunto dall’infanzia dell’attrice. Evacuata a tre anni da Londra per evitare i bombardamenti, segnata nel profondo da quel trauma che ha messo al servizio di un appassionato impegno umanitario che da quasi vent’anni la vede ambasciatrice Unicef, Redgrave ci mostra che distinguere fra “noi” e “loro” è una mistificazione.
Lo spezzone più toccante è l’intervista a Lord Alf Dubs, nato a Praga da padre ebreo, sopravvissuto alle persecuzioni insieme a migliaia di bambini portati in Inghilterra dai Kindertransport. Membro del partito laburista, Lord Dubs si è votato alla causa dei più piccoli. Suo, due anni fa, un emendamento per portare in salvo nel Regno unito i minori non accompagnati giunti in Europa al culmine della crisi migratoria.
In Il dolore del mare l’attivismo che nei Settanta aveva reso celebre Vanessa Redgrave lascia il posto a un tono civile, ragionevole e compassionevole. Il suo appello è semplice. Milioni di persone sono costrette a fuggire e muoiono mentre i ricchi del mondo non fanno abbastanza. Sembra scontato, ma basta guardarsi attorno per rendersi conto che non lo è.
Malgrado le premesse, il film non è del tutto riuscito. L’alternanza di immagini e letture risulta talvolta artificioso e le interviste confuse.
“È più un lungo annuncio di servizio che cinema – scrive Guy Lodge su Variety – ma l’autrice sa che il suo messaggio va ben al di là del suo metodo”. Per questo, suggerisce, allo scopo di raggiungere la sua audience dopo la presentazione a Cannes il film dovrebbe poter contare su circuiti secondari (festival, o associazioni).
Su Rogerebert Odie Henderson va invece giù pesante. “Sea Sorrow – scrive – mi mette in una posizione molto scomoda, perché malgrado abbia il cuore al posto giusto e la causa sia rilevante e importante, devo dire che il film è sorprendemente brutto. È un montaggio fatto male di clip televisive, discorsi improvvisati di attori famosi e improvvise incursioni in Shakespeare, l’autore che dà al film il suo titolo”.
“Il dolore del mare – conclude – ci dà simboli, discorsi e un senso di vergogna che, in mani più esperte, avrebbero potuto essere efficaci. Non posso negare le buone intenzioni della regista, ma le buone intenzioni non si traducono sempre in buon cinema”. Tutto vero. L’intenzione ha però un peso da non disprezzare, soprattutto se il regista è un personaggio mediatico come Vanessa Redgrave. E’ bastato il suo celebre sorriso triste per accendere i riflettori della stampa internazionale sulla crisi più angosciosa dei nostri tempi.

Daniela Gross

(21 giugno 2018)