Setirot – I cattivisti
Ho sempre detestato la parola buonismo, perché significa assolutamente nulla, e perché è diventata invece l’accusa preferita, usata fino alla nausea, rivolta a chiunque sia inclusivo, cerchi una mediazione, non giochi allo scontro a ogni costo, tenti di costruire ponti e non muri, materiali o culturali che siano. Buonista (l’ho scritto più volte su queste colonne) è un epiteto lanciato a mo’ di condanna con la violenza e l’arroganza, l’aggressività a volte un poco squadrista di chi forse non ha il coraggio di dirti in faccia ciò che pensa, ovvero che ai suoi occhi sei di volta in volta (sovente tutto insieme) “comunista”, amico del terrorismo, nemico, perfino antisemita, radical chic (altro vocabolo privo di senso alcuno), intellettuale inteso come insulto etc etc.
Negli ultimi anni mi sono e vi ho chiesto che cosa mai fosse il contrario di buonista, ho scherzato rispondendo «forse cattivista?». La risposta purtroppo non è una battuta, è diventata volontà popolare – ma meglio sarebbe dire populista e plebea – da noi, in ampi pezzi di Europa, nell’America di Trump. Grazie anche alla sottovalutazione e agli errori della sinistra, è ormai la cronaca di queste giornate orrende che stiamo vivendo. Sono gli slogan al di fuori di qualsiasi civiltà che non sia quella degli anni pre fascismo e pre nazismo. Erano nell’aria da tempo, più che nell’aria. In troppi si sono voltati dall’altra parte, e magari mentre facevano finta di non sentire e di non vedere elogiavano Liliana Segre che non smetteva neppure per un attimo di ammonire contro l’indifferenza.
Stefano Jesurum, giornalista
(21 giugno 2018)