FILOSOFIA Marx, 200 anni e una questione aperta
Pochi pensatori hanno il privilegio di veder attribuito alla cultura ebraica la fonte ispiratrice delle loro opere e contemporaneamente di essere tacciati di antisemitismi. A Karl Marx è toccato questa sorte. Molti commentatori, soprattutto antimarxisti e nazisti, hanno cercato di spiegare le radici del marxismo con le origini ebraiche dell’autore, altri con la sua rinuncia della sua all’identità ebraica. Certamente in alcuni tratti la violenza del suo linguaggio anti-ebraico lascia sbigottiti. Cominciamo dai fatti prima di passare alle sue opere. Marx nasce da una famiglia ebraica di Treviri, sulla Mosella, in Renania. Sia il nonno materno, Moses Lowow, che quello paterno, Marx Levi, erano rabbini. Rabbini erano anche uno zio, il bisnonno e il trisnonno materno. Il padre Herschel, consigliere giudiziario e presidente dell’ordine degli avvocati di Treviri era di idee progressiste, liberali e kantiane. “Spirito colto, innamorato della letteratura e della filosofia classica, egli ammirava soprattutto Lessing, Voltaire e Rousseau, come difensori dell’umanesimo borghese.” Nel 1816, due anni prima della nascita di Karl, in concomitanza con una legge prussiana che impediva agli ebrei di esercitare il mestiere di avvocato, si convertì al protestantesimo. Non al cattolicesimo, che era la religione dominate in Renania. Fra il 1824 e il 1825 si convertirono anche la moglie e i figli. Marx aveva nove anni e non ricevette un’educazione ebraica né fece il bar-mitzvà. Con i fratelli e le sorelle ebbe un’infanzia felice e senza preoccupazioni. Neppure subì i traumi provocati dalle sue origini israelitiche, ma certamente è stato influenzato dalla cultura ebraica così radicata nella sua famiglia. Il fondatore con Engels del materialismo e del socialismo scientifico, affronta la questione ebraica molto giovane in due saggi: «Questione Ebraica» nel 1843, quando aveva 25 anni, e «La sacra famiglia» l’anno successivo. Poi non tornerà più in argomento. Marx non scrive questi lavori in quanto ebreo, ma certamente entra nel dibattito per contrastare le leggi anti ebraiche. In una lettera a Arnold Ruge, 13 marzo 1843 scrive: «Poco fa è venuto da me un rappresentate degli ebrei di qui (Colonia) per chiedermi di scrivere una petizione al Landtag (Parlamento regionale) a favore degli ebrei. Lo farò per quanto mi sia ripugnante la fede israelitica». Finora la questione ebraica era stata affrontata quasi esclusivamente dal punto di vista religioso. Voltaire, Rousseau e Hegel erano stati molto critici nei riguardi della religione ebraica, considerata oscurantista e esclusivista. Solo Ludwig Feuerbach e Carlo Cattaneo avevano affrontano la questione in maniera diversa: sono gli ebrei a modellare la religione ebraica e non viceversa, quindi è a loro che dobbiamo guardare. Per Feuerbach, esponete della sinistra hegheliana, era il carattere «utilitarista» ed «egoista» del popolo ebraico ad aver forgiato la loro religione. Tuttavia Feuerbach, non spiega le cause che hanno modellato la «natura» degli ebrei. Cattaneo, invece, ha una posizione molto più aperta. Nel suo libro “Interdizioni israelitiche” del 1835 spiega come sono le restrizioni imposte ad aver indotto gli ebrei a praticare l’usura e accumulare denaro. Ciò ha accresciuto l’odio nei loro confronti in un infinito circolo vizioso. È indispensabile abolire le restrizioni a loro imposte per renderli uguali agli altri. I saggi di Marx si presentano come una critica a due scritti del 1842 di Bruno Bauer, filosofo e teologo tedesco, sulla questione ebraica. Tuttavia deve essere ben chiaro che per Marx la questione ebraica rappresenta solo un pretesto per affrontare il problema più generale del rapporto tra società e Stato e tra uomo e cittadino. Bauer, a differenza dei borghesi liberali, aveva preso posizione a sfavore delle rivendicazioni ebraiche: le rivendicazioni ebraiche erano politicamente egoiste e contradittorie; «nessuno in Germania è politicamente emancipato». Pretendendo la parificazione gli ebrei avrebbero legittimato lo stato cristiano. Sia ebrei che cattolici avrebbero dovuto liberarsi dalla religione, ma per i cristiani era più facile poiché la loro religione era universale. Marx, dopo aver discusso del rapporto fra «Diritti dell’uomo », «Diritti del cittadino» e «Diritti sociali», osserva come «l’emancipazione politica non libera l’uomo dalla religione, ma gli dà la libertà religiosa, non lo libera dalla proprietà ma gli dà la libertà della proprietà…» Occorre dare all’uomo diritti sociali per liberarlo, cioè una prospettiva comunista. Ritornando più specificatamente alla questione ebraica Marx si chiede: «Quale è il fondamento moNdano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo» «Quale è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Quale il suo Dio mondano? Il denaro.» Ma questi sono diventati i fondamenti di tutta la società capitalistica borghese. «L’emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico, reale, sarebbe l’auto-emancipazione del nostro tempo.» «L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo.» L’ebraismo si è mantenuto nella storia perché quelli che erano i sui presupposti sono diventati gli elementi costitutivi della società borghese. Per emanciparsi l’ebreo deve rinunciare al traffico e al denaro. Infatti il fondamento pratico del giudaismo è l’egoismo, il particolarismo, l’esclusivismo. Ma questo è possibile solo se tutta la società si libera dal traffico e dal denaro. La soluzione alla questione ebraica è la soppressione della società capitalista, cioè la società comunista. Per taluni Marx ritiene che il giudaismo sia la religione del capitalismo, ma «Il cristianesimo è il pensiero sublime del giudaismo, il giudaismo è la piatta applicazione del cristianesimo”. Ma questa applicazione poteva diventare universale soltanto dopo che il cristianesimo in quanto religione perfetta avesse compiuto teoricamente l’autoestraneazione dell’uomo da sé e dalla natura. Una durezza di linguaggio, tipica di Karl Marx, che oggi risulta inaccettabile alla nostra sensibilità e alla realtà dell’ebraismo moderno, che tanto ha dato alla cultura e alla civiltà. Un lessico che tuttavia deve essere interpretato alla luce del romanticismo ateo e comunista che hanno caratterizzato la figura di Marx, che nulla ha di antisemita, ma che certamente oggi facciamo fatica a comprendere.
A Trier, la filosofia in mostra
“L’obiettivo della nostra esposizione non è di glorificare Marx né di condannarlo. Vogliamo presentare un’altra sua immagine, quella del personaggio storico Karl Marx”, spiegava alla stampa Rainer Auts, direttore della Karl Marx Ausstellung di Treviri (Trier) che ha organizzato diversi eventi nella città tedesca dove 200 anni fa nacque il famoso filosofo. “È dal dopoguerra che Marx nelle scuole tedesche è considerato persona non gradita e dunque non si studia – ha sottolineato Auts, parlando con il giornalista Andrea Battaglini – Tanto più che nei licei in Germania non c’è la disciplina di filosofia, bensì o di etica o di religione e anche oggi i giovani tedeschi conoscono Marx per quelle cinque righe che i manuali di storia gli dedicano spiegando la Rivoluzione Industriale in Inghilterra. Né più né meno. Dunque il bicentenario celebrato con due grandi mostre filologiche e al contempo moderatamente emozionali a Treviri, sua città natale dove visse fino alla maturità, sono un’occasione importante per far conoscere il pensiero di colui che, piaccia o meno, è il filosofo e politico più citato al mondo; ma che Germania è un illustre sconosciuto”. Il duecentenario dalla nascita è dunque un’occasione per conoscere meglio il pensiero dell’autore de Il Capitale ma anche per riflettere sulla sua eredità. Non è un caso se proprio a Treviri l’opinione pubblica si sia divisa per il regalo fatto alla città dalla Repubblica cinese: una gigantesca statua di Marx. “Non dobbiamo temere Marx, ma non dobbiamo nemmeno costruire statue d’oro per lui”, le parole del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. E le due mostre, al Rheinisches Landesmuseum e al Simeonstift Museum (aperte fino ad ottobre), sono un tentativo di capirlo, senza glorificare o condannare.
Rony Hamaui, economista
Pagine Ebraiche, giugno 2018