Credere a ciò che si vuole
Giulio Cesare (De Bello Gallico, III, XVIII, VI) continua a soccorrerci dall’avello, per sviscerare i nostri pensieri, segnatamente quando bussiamo allo specchio pregandolo di restituirci l’immagine che non la realtà ma la giustizia potrebbe donarci.
Se analizzassimo, ad esempio, una frase contenuta in una recente dichiarazione, all’insegna del ‘non possiamo tacere’ (“Condanniamo la retorica fondamentalista di Hamas che non abbandona il rifiuto di Israele né desiste da una guerra di guerriglia che espone la gente di Gaza alla rappresaglia di Israele”) potremmo comparare il versante volitivo con quello che sovrintende, diciamo, alla percezione dei fenomeni, attraverso l’analisi di tre aspetti:
1) Guerriglia o terrorismo?
Il Che Guevara (La guerra de guerrillas) chiarisce che il guerrigliero dev’essere appoggiato dalla popolazione del posto (“El guerrillero cuenta, entonces con todo el apoyo de la población del lugar. Es una cualidad sine qua non”) ma non sembra che fra la popolazione israeliana siano molti gli entusiasti di Hamas.
Compulsando chi ha studiato il fenomeno, constatiamo che la guerriglia è contrassegnata da specificità tali che rendono possibile la distinzione col terrorismo: “.. I think one of the key distinctions is that they can also engage in force-on-force attacks. In other words, they can operate almost like military bands or military forces and attack defended targets. (D. Byman, Defining Terrorism: Terrorism vs. Guerrilla Warfare, 2014) ancorché vi siano sovrapposizioni (Amiram Levin, How to beat Hamas’ guerrilla terrorism, Israel Hayom,10/6/2018).
Sul piano giuridico, la Direttiva (UE) 2017/541 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2017 sulla lotta contro il terrorismo e che sostituisce la decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio e che modifica la decisione 2005/671/GAI del Consiglio, definisce il terrorismo a partire dai suoi scopi: a) intimidire gravemente la popolazione; b) costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto; c) destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o di un’organizzazione internazionale. Quanto al riferimento alla guerriglia, Ernesto (Che) Guevara Lynch de la Serna non lanciava aquiloni incendiari sui campi coltivati, non sparava dei razzi sulla popolazione civile, non uccideva dei terzi estranei al combattimento.
Allora, perché qualificare Hamas come una guerriglia, laddove il diritto dell’UE la qualifica come organizzazione terroristica? (cfr. Regolamento di esecuzione (UE) 2017/150 del Consiglio del 27 gennaio 2017 che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del Regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1127).
2) La retorica
Nella dichiarazione dianzi citata, laddove condanna “la retorica fondamentalista di Hamas che non abbandona il rifiuto di Israele”, se si sostituisse “Hamas” con Neturei Karta, nulla cambierebbe, perché anche questo gruppo religioso ebraico è fondamentalista e rifiuta Israele; tuttavia, per quanto abbia di negativo, non sembra assimilabile ad Hamas. Ne scaturisce un downplaying Hamas dove il versante più significativo riguarda il non detto.
3) Le conseguenze
Esaminiamo l’ultimo periodo: “una guerra di guerriglia che espone la gente di Gaza alla rappresaglia di Israele”. Perché non hanno scritto, invece “una guerra di guerriglia che espone gli israeliani alla morte e la gente di Gaza alla rappresaglia di Israele”?
Osservava Jean-Paul Sartre che l’ebreo, “per essere lasciato in pace, dovrebbe venir mobilitato prima degli altri, dovrebbe, in caso di carestia, essere più affamato degli altri; se una disgrazia collettiva colpisce il Paese, dovrebbe essere il più colpito” (L’antisemitismo, 1990, p. 77), ponendo in essere una situazione di colpevolezza permanente. Come dire che il tentativo d’interpretazione di un testo difficilmente può prescindere dal contesto. I c.d. intellettuali dissidenti, schierandosi contro Israele, sanno che una diversa scelta, comporterebbe l’isolamento. Alessandro Piperno, al riguardo, è stato di un’onestà implacabile: ” D’ora in poi, cascasse il mondo, avrei vissuto nell’ombra, mostrando un’equanimità putrida e nient’affatto corrispondente ai miei sentimenti e (cosa ancor più grave) alle mie idee. D’ora in poi avrei opposto ai detrattori di Israele un sorrisino di circostanza. Il tutto sarebbe stato reso più arduo dal fatto che mi stavo avviando a una carriera intellettuale, e che i miei colleghi e compagni di avventura sarebbero stati accademici, scrittori e giornalisti, categoria storicamente sospettosa nei confronti di Israele. Ho tenuto fede al mio giuramento? Direi di sì. Ma con quanta fatica, e a costo di quale sacrificio della mia dignità” (Corriere della Sera, 18 gennaio 2011, p.38).
Emanuele Calò, giurista