…Italia

Il problema non è se Matteo Salvini sia o meno amico di Israele. Lui lo ha affermato, e noi continuiamo ad aspettarlo fiduciosi alla prova dei fatti, anche se non sarà facile convincere i grillini a condividere una posizione filo-israeliana. C’è spazio per la speranza, almeno per chi finora, in Salvini, la speranza l’ha voluta nutrire.
Ma il problema non è questo. O, almeno, questo è un altro problema. Perché per noi ebrei un problema non viaggia mai da solo, ma viaggia sempre in compagnia, tanto per non morire di solitudine.
Dunque, il compiacimento per l’ipotetico sostegno che Salvini darebbe a Israele è tristemente compensato dalle sue posizioni su migranti e rom. E dove vi è pregiudizio e generalizzazione sul diverso, sullo straniero, nessun ebreo può mai sentirsi tranquillo. Prima o poi toccherà anche a noi. Ho già avuto modo di evidenziare come il suo riferirsi al finanziere ebreo Soros come ‘speculatore’, anziché denunciarne apertamente il detestabile (agli occhi di Salvini) impegno pro-migranti, denoti la tendenza di Salvini a categorizzare e discriminare i suoi avversari piuttosto che a contestarne le idee. Distruggere il nemico, anziché confrontarsi con lui sul piano delle idee, è la strategia di chi ama la dittatura del pensiero. E speriamo solo del pensiero. Anche la recente minaccia a togliere la scorta a Saviano, come reazione alle critiche rivoltegli dallo scrittore, ha suscitato qualche imbarazzo in chi crede nella democrazia, nella giustizia e, soprattutto, nella libertà. E non solo quella di pensiero.
La figura e lo spazio che il nuovo ministro dell’interno, e vicepremier, sta occupando sulla scena politica, spesso intervenendo pesantemente in questioni che non riguardano le sue competenze istituzionali, destano qualche preoccupazione. Ma a preoccupare è anche un aspetto particolare del suo metodo politico. Salvini non affronta i piccoli problemi che sarebbe sua competenza risolvere come ministro dell’Interno, e preferisce invece infiammare gli animi costruendo dal nulla un problema che somiglia tanto alle fake news che imperversano nei social. Potrebbe e dovrebbe occuparsi di affrontare la criminalità tutta, compresa quella presente fra i rom, e sceglie invece di criminalizzare i rom nella loro globalità. Sembra che torni utile non risolvere il problema di minima per poterlo enfatizzare come se fosse il problema più grave che affligge il paese, e usarlo come spauracchio da dare in pasto all’ingenuità del popolo.
Così, mentre l’attenzione si focalizza su rom e immigrati, non si parla di politica economica e di debito pubblico, di corruzione e di tangentari, e non si parla della linea che il governo terrà sull’ordine pubblico e soprattutto nei riguardi della camorra, della mafia e della ‘ndrangheta. Problemini di secondario interesse che evidentemente non meritano l’attenzione del governo e di Matteo Salvini. E passano in second’ordine, annacquate o forse nel dimenticatoio, flat tax e reddito di cittadinanza, che tanti voti hanno portato alle promesse di Lega e Cinquestelle.
L’ordine pubblico, poi, sembra quasi un falso problema. In realtà il crimine in Italia è diminuito (come sono diminuiti pesantemente gli sbarchi degli immigrati), e lo dicono i dati ufficiali, ma la percezione del crimine è aumentata di molto: tutto merito della stampa e di certi programmi televisivi, impegnati politicamente a enfatizzare crimini e violenze piuttosto che a dar conto della reale incidenza del crimine sul quotidiano.
La battaglia politica, che continua a essere una battaglia elettorale anziché di gestione della cosa pubblica, sta continuando intensa anche sui social, allo scopo di raccogliere ancor più consensi, piuttosto che per governare il paese. Come se non interessasse cambiare la politica del paese, o risollevarne l’economia. Come se l’unico interesse fosse quello di prepararsi a prossime imminenti elezioni. La mira è occupare spazio nel cervello delle gente, in preparazione di non si sa che cosa. O forse il che cosa lo si può cominciare a temere con un po’ di sana preveggenza. Immigrati, rom, vaccini, e ogni nuova balzana idea che salta in mente al ministro Salvini un giorno dopo l’altro sono i ballon d’essai lanciati in pasto al popolo per saggiarne la reattività ed esagitarne l’animo. Se poi ciò che questo ministro dell’interno sui generis dice su immigrati, rom, vaccini e chissà cos’altro non trova alcuna rispondenza nella realtà, se i numeri che sforna a casaccio non sono veri, questo non conta gran che.
La domanda, ancora una volta, è a che cosa miri la sua strategia, a che cosa si stia preparando e che cosa ci aspetti alla fine.
Ciò che più dovrebbe preoccupare, ma che la gente sembra non voler vedere, è, da un lato, il conflitto sociale che questa imbarazzante e pericolosa politica (tanto apprezzata da CasaPound) sta provocando all’interno del paese, e dall’altro, la distanza che sta producendo fra l’Italia e il resto dell’Europa democratica, avvicinando il paese agli ideali di Marine Le Pen e all’Ungheria di Viktor Orbàn. Speriamo non anche alla Turchia di Erdogan.
E se poi non bastasse, ci si mette anche Luigi Di Maio, con mezz’ora di internet gratis per tutti: fondamentale per il nostro benessere. E poi ci si chiede che cosa sia il populismo.

Dario Calimani, Università di Venezia