Orizzonti – La patente delle saudite che copre i diritti negati
Ultime al mondo, le donne saudite da poche ore possono fare una delle azioni più banali e comuni al mondo senza rischiare prigione e oltraggio sociale: guidare un’automobile. Dopo mesi di preparazione, il regno ultraconservatore ha dato il via a quella che è stata presentata come una epocale apertura, una rivoluzione gentilmente concessa da Mohammad bin Salman. Il giovane principe ereditario Mbs per meglio fare intendere quale sia la via del nuovo cambiamento nel Paese ha fatto incarcerare poche settimane prima del crollo del divieto le principali attiviste che per decenni hanno lottato per sedersi dietro al volante. Le riforme cosmetiche Nei mesi passati, l’erede al trono su cui oggi siede l’anziano padre, re Salman, ha introdotto alcune concessioni – molto cosmetiche e poco di sostanza – in un mondo in cui la donna è pesantemente discriminata: le saudite possono ora andare a vedere allo stadio una partita di pallone, andare al cinema, dove fino a poco tempo fa non andavano neppure gli uomini, visto che non esistevano proprio sale di proiezione. Risultati più di peso erano arrivati nel 2015, quando le donne avevano potuto presentarsi alle elezioni locali, ed essere elette al Consiglio consultivo. È innegabile come la fine del divieto di guida in Arabia Saudita sia una vittoria massiccia per le donne del regno, che porta conseguenze di peso: la possibilità di muoversi in maniera indipendente consente di andare a lavorare autonomamente. E gli impatti economici – quelli che cerca il giovane principe Mbs, che ha come obiettivo sganciare il regno dalla dipendenza del greggio – non tarderanno a farsi sentire. Se le donne possono però da oggi mettersi al volante, restano troppe le attività vietate alle saudite in una società retta da leggi religiose ultraconservatrici, in cui la discriminazione è burocratizzata. Come nella quasi totalità dei Paesi islamici una donna eredita la metà della somma data ai fratelli maschi. In Arabia Saudita, la testimonianza di una donna non vale quella di un uomo davanti a un giudice. Se da oggi una saudita pub guidare, non è detto che abbia a disposizione i soldi per comprarsi la macchina, visto che non pub aprire da sola un conto in banca senza il consenso del suo «tutore» maschio. E se riesce a comprarsi una macchina, pub andare con quella all’aeroporto a prendere un parente, ma non pub partire per i fatti suoi, perché per viaggiare e procurarsi un passaporto le serve il permesso di un parente maschio: un padre, un fratello, un marito, un cugino. Non è un caso che l’Arabia Saudita sia al 141 esimo posto su 144 Paesi (dopo ci sono solo Siria, Pakistan e Yemen) sul Global Gender Gap Report del World Economic Forum del 2016. Anche dopo la conquista del volante, l’Arabia Saudita resta un Paese in cui essere donna è difficile. Sport, ma niente palestra Dai Giochi di Londra nel 2012, le saudite possono gareggiare alle Olimpiadi. Eppure, ottenere la licenza per aprire una palestra per donne è un problema, anche se nello sport al femminile la situazione sta migliorando. Il solito parente maschio ha l’ultima parola sul matrimonio (e sul divorzio) di una donna, sulla possibilità di una donna di aprire alcune attività commerciali o avere un lavoro, persino sulle operazioni mediche di routine. Se da oggi le saudite possono uscire di casa a bordo della loro automobile, non potranno ancora andare a cena in un luogo pubblico con un amico maschio, che non sia una parente. E nei ristoranti e nei caffè di tutto il regno possono sedersi soltanto in zone dedicate alle famiglie. Aperto dallo stesso principe Mbs il dibattito sull’obbligo di coprire il capo, per la donna resta comunque il divieto di indossare cid che vuole: l’abaya, un lungo abito informe nero, è il dress code ufficiale.
Rolla Scolari, La Stampa, 26 giugno 2018