La storia non dimentica
Cosa diranno tra venti / trenta / cinquanta / cento / mille anni? Mi rendo conto che questa domanda è un mio chiodo fisso, quasi un’ossessione, probabilmente un po’ anche per deformazione professionale. Niente è così trascurabile o irrilevante da poter contare con certezza sull’oblio: lettere private (da più di duemila anni leggiamo Cicerone che sbrodola lodi a Giulio Cesare e poi dopo le Idi di marzo si affretta a congratularsi con i suoi assassini), diari (il povero Luigi XVI, quando ha scritto “nulla” alla data del 14 luglio 1789, non immaginava che dopo aver perso la testa avrebbe perso anche la faccia di fronte agli studenti del futuro), resoconti di riunioni, assemblee e incontri privati, battute infelici, previsioni completamente sballate. Non c’era bisogno che arrivassero i social network per rischiare di fare figuracce non cancellabili. Devo dire che l’idea non mi pare affatto angosciante, anzi, la trovo divertente, ed è anche confortante pensare che ciò che facciamo, diciamo, votiamo, scriviamo potrebbe essere ricordato anche tra molto tempo.
A volte le opinioni cambiano a seconda delle epoche, ma altre volte dopo un po’ si stabilizzano, nel bene o nel male. Tutti conosciamo lo straordinario esempio di Herzl che dopo il primo congresso sionista del 1897 scrisse nel suo diario: “Dovessi riassumere il Congresso di Basilea in una parola – che mi guarderò bene dal pronunciare in pubblico – sarebbe questa: a Basilea ho fondato lo Stato Ebraico. Se lo dicessi oggi a voce alta provocherei una risata generale. Forse tra 5 anni, certamente fra 50, tutti lo riconosceranno.” Oggi nessuno, neanche i detrattori del sionismo, potrebbe negare che Herzl sia stato profetico, tanto più che la risoluzione ONU che sanciva la nascita di uno stato ebraico arrivò esattamente 50 anni dopo. Viceversa, chi ha sostenuto teorie razziste poi rivelatesi infondate, chi ha diffuso accuse false, chi si è pronunciato contro l’accoglienza a profughi che poi hanno fatto una brutta fine, si porterà dietro per secoli una macchia incancellabile.
Per questo mi sorprende quanto i politici o gli opinionisti di oggi, nella ricerca spasmodica di un consenso immediato che potrebbe anche finire in brevissimo tempo per circostanze incontrollabili (l’opinione pubblica è assai volubile), non si preoccupino del rischio che corrono di diventare esempi negativi sui libri di storia del futuro.
A maggior ragione il mondo ebraico, che è piccolo ed è pieno di gente che scrive e racconta, non dimentica assolutamente nulla. Giornali e giornalini ebraici studiati e passati al setaccio articolo per articolo e parola per parola, verbali e ricordi di assemblee, lettere, diari, mozioni congressuali, accuse, offese, insulti. E in alcuni casi la storia è in grado di distribuire belle o brutte figure in modo talvolta definitivo e indelebile. In particolare quando si fanno nomi e cognomi, quando si formulano accuse ben precise, quando si presentano voci, sospetti e insinuazioni come se fossero dati accertati, la probabilità che in futuro si possa dimostrare con certezza la falsità delle voci riferite e l’infondatezza delle accuse è davvero molto alta.
La maldicenza rischia di far fare brutte figure per secoli e millenni: decisamente non ne vale la pena.
Anna Segre