Israele e la cittadinanza

caloNel giugno 2018 è stato pubblicato il “Report on Citizenship Law: Israel” ad opera di Yossi Harpaz e Ben Herzog, nell’ambito del Global Citizenship Observatory (GLOBALCIT) del Robert Schuman Centre for Advanced Studies presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze. GLOBALCIT è il successore di EUDO CITIZENSHIP, alla quale ho fatto riferimento per alcune consulenze e per qualche conferenza.
È opportuno segnalare che da o mediante tali programmi è stato possibile accedere a pubblicazioni di notevole rilievo, come per esempio Rainer Baubock, Eva Ersbøll, Kees Groenendijk and Harald Waldrauch Introduction, in: Acquisition and Loss of Nationality Policies and Trends in 15 European States Volume 1: Comparative Analyses edited by Rainer Baubock Eva Ersbøll Kees Groenendijk Harald Waldrauch, Amsterdam, 2006, p. 31. https://www.imiscoe.org/docman-books/281-bauboeck-et-al-vol-ii-2006/file (vedi anche https://www.nationalityindex.com/# ). Vedi anche Bloodlines and belonging: Time to abandon ius sanguinis? Edited by Costica Dumbrava and Rainer Bauböck, EUI Working Papers, RSCAS 2015/80 Robert Schuman Centre for Advanced Studies EUDO Citizenship Observatory 2015. Kick off contribution Bloodlines and belonging: Time to abandon ius sanguinis?
http://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/37578/RSCAS_2015_80.pdf
Le leggi sulla cittadinanza si trovano in http://globalcit.eu/country-profiles/
compresa, ovviamente, quella israeliana.
Malgrado l’acceso dibattito italiano sullo ius soli, abbiamo avuto l’impressione che nessuno dei partiti fosse a conoscenza di questa sconfinata messe di dati, per accedere alla quale bastava la conoscenza sia del diritto che della lingua inglese. Per evitare che accada lo stesso con il lavoro, nuovissimo, di Yossi Harpaz e Ben Herzog, provvediamo a segnalarlo in questa sede. Naturalmente, come prima avevamo un qualche interesse ad approfondire la tematica afferente allo ius soli, ora troviamo un ulteriore motivo d’interesse nel cercar di far luce sulla disciplina israeliana della cittadinanza. Si tratta, come in quasi tutti i casi che riguardano Israele, di cercare un approccio scevro dalle emozioni, di ogni tipo, che circondano la tematica. Infatti, basta una ricerca sommaria per trovare in Italia dei moduli di istanze di riconoscimento del possesso dello status civitatis italiano ai cittadini stranieri di ceppo italiano (sic), dove vi è uno spazio per l’indicazione dei trisnonni e del capostipite, a dimostrazione che tutti o quasi) i Paesi del mondo, Italia compresa, hanno una “legge del ritorno”. Quanto alla connotazione di Stato ebraico, di cui si dibatte, si tratta di un nodo già sciolto dall’OLP, la cui Carta, all’art. 1, dispone che la Palestina è una madrepatria araba. Dal canto suo, l’art. 4, comma 2 della Basic Law stabilisce che nella gerarchia delle fonti prevale la Shari’a. Quindi, laddove di etnicità e religione si tratta, lodi o critiche andrebbero rivolte in più direzioni.
La legge del Ritorno è del 1950, mentre la legge sulla cittadinanza, che svolge un ruolo residuale, è del 1952. Gli autori menzionano la questione, centrale, riguardante la definizione di ebreo, non menzionata dalla legge, lasciando aperta la scelta fra la qualificazione etnico-ancestrale e quella religiosa. Negli anni sessanta, i due criteri sono finiti in tribunale. Il primo caso, negli anni sessanta, riguardava un ebreo polacco convertito al cattolicesimo, durante l’Olocausto, la cui richiesta per il visto di Oleh (individuo che compie l’Alyah, ossia, l’elevazione mediante l’emigrazione in Israele) è stata respinta dalla Suprema Corte. Il secondo caso, del 1968, riguardava un ufficiale navale israeliano sposato con una scozzese non ebrea, con prole comune. In questo caso, la Suprema Corte decise che avrebbe potuto registrare i figli come ebrei sulla base dell’auto identificazione, malgrado l’ebraismo sia matrilineare. In risposta, nel 1970 la Knesset (il Parlamento d’Israele) approvò un emendamento alla Legge del Ritorno, distinguendo fra nazione e religione (sezione 4B) definendo ebreo chi nasce da madre ebrea oppure vi si converte mentre la Sezione 4A dispose che i diritti di un ebreo secondo la legge del Ritorno e quelli di un Oleh ai sensi della legge sulla cittadinanza (1952) e di ogni altra legge spettano anche al figlio e al nipote di un ebreo, al coniuge di un ebreo, al coniuge del figlio di un ebreo e al coniuge del nipote di un ebreo.
Questo emendamento, secondo gli autori, ha poi consentito a quattrocentomila non ebrei provenienti dall’URSS di entrare in Israele come Olim; in prosieguo, degli studi sociologici avrebbero riscontrato la loro forte integrazione nel Paese. Dal canto suo, l’Istituto di Statistiche avrebbe tenuto conto di questo tertium genus fra ebrei e arabi.
Dal canto suo, la citata legge del 1952 stabilisce che la cittadinanza si acquisisce col ritorno, con la residenza, per nascita e mediante naturalizzazione. Dal 1948, la popolazione ebraica è passata da 650.000 persone a 6.6 milioni, mentre quella araba è passata da 160 mila a 1.800.000. Gli arabi costituiscono il 21% della popolazione, di cui l’84% sono islamici, l’8% cristiani e un altro 8% Drusi.
Quanto a Cisgiordania e Gaza, con gli Accordi di Oslo, la prima è stata divisa in tre zone: l’Area A è amministrata esclusivamente dall’Autorità Palestinese, l’Area B è amministrata congiuntamente dall’Autorità Palestinese e da Israele, l’Area C, che alberga 400 mila ebrei che sono cittadini israeliani, è amministrata da Israele. I palestinesi sono cittadini dell’Autorità Palestinese. Quanto a Gaza, la popolazione è de facto cittadina dell’Autorità Palestinese, ma il controllo è, sempre nei fatti, nelle mani di Hamas.
Possiamo soggiungere che, nei Paesi arabi e nei Paesi islamici non arabi, la popolazione ebraica (circa ottocentomila persone) si è svuotata, rimanendo una presenza sostanzialmente simbolica.
Infine, è opportuno considerare che la Legge del Ritorno non è altro che la formulazione israeliana della trasmissione della cittadinanza iure sanguinis, che è poi il sistema più diffuso in Europa, dove lo ius soli è una rarità.

Emanuele Calò, giurista

(3 luglio 2018)