Dialogo

valentina di palmaPerché io, mi affanno a dire ad uno dei tanti psicologi che vedo in questo periodo (tranquilli, per altre ragioni, non sono pazza, altrimenti le vocine me lo avrebbero detto no? E neppure perché pensi che se poi mi curano non avrò nient’altro da fare nel tempo libero…), credo nel dialogo come strumento di spiegazione delle proprie posizioni e di ricerca di una condivisione con l’altro – chissà se c’entra essere cresciuta a pane e materno filosofeggiare, o aver frequentato Danilo Dolci nell’infanzia in famiglia?
Massimo Recalcati, che non conoscevo e mi è capitato di sentire alcune settimane or sono, sostiene invece che il dialogo sia un paradosso: c’è quando è impossibile comunicare, altrimenti non sarebbe necessario instaurarlo, ci basterebbe il silenzio pacificato di chi si ama, in assenza di conflitto.
Possibile, ma mi agito sulla sedia a disagio, ascoltando la sua interpretazione della lettura lacaniana delle Lettere ai Romani, da cui traspare un Dio ebraico come un Dio normativo ed inflessibile, incapace di amare, in contrapposizione con quello cristiano, cogliendo nella normatività ebraica un aspetto impositivo (la legge come obbligo e tentativo di scoraggiare il desiderio umano, il quale verrebbe invece alimentato dal cercare di negarlo, conducendo l’uomo al senso di colpa per aver trasgredito la norma nella ricerca del soddisfacimento del proprio desiderio: binomio molto cristiano tra legge e peccato).
Vero che la regola non produce in sé buoni comportamenti, ma questi derivano dalla trasgressione della norma e con essa dall’incorporare il senso della legge, il quale nascerebbe dal senso di colpa per aver trasgredito. Di nuovo legge come rigore inflessibile, naturale inclinazione alla trasgressione, e cristiano senso di colpa…Sono di nuovo a disagio.
Basterebbe conoscere letteralmente la legge, la quale non impone – il tradizionale ‘non fare questo o quello’ contenuta nella prima parte della prima tavola per quanto riguarda i rapporti con il Signore, e in tutta la seconda delle tavole del patto, che infatti comandamenti non sono, relativamente ai rapporti tra gli uomini: non dice ad esempio “non uccidere”, bensì “non ucciderai”: come scrive Haim Baharier “non ci sono imperativi, nessuna imposizione. I verbi sono al futuro. Quei verbi portano promesse che si realizzano” (Le dieci parole, Edizioni San Paolo 2011, p. 11).
La legge in realtà nasce dal dialogo tra Kadosh BaruchHu e il nascente Am Israel, dalla richiesta di avere un’identità nel costruirsi popolo, e dal fatto che Dio accoglie questa richiesta. Per amore e con amore.

Sara Valentina Di Palma

(5 luglio 2018)