Machshevet Israel – Il corpo umano, il Patto e la crescita

Cosimo Nicolini CoenIl corpo umano può essere tanto oggetto quanto fonte (in senso lato) di normativa. Nel primo caso il corpo si fa ricettacolo passivo dell’agire normativo. Nel secondo è il corpo stesso, alcune sue caratteristiche biologiche, ad essere stimolo e matrice della produzione normativa. Il tema è di per sé vasto e tocca il nodo del rapporto tra sfera biologica e sociale. Prendiamo due casi, da tutti conosciuti, della normativa ebraica: il brit milà (l’atto della circoncisione rituale) e il bar mizvà – non quale rimando al rito omonimo bensì come qualificazione dell’ebreo entrato nella maggiore età religiosa. Nel caso del brit milà l’aspetto tecnico-fisico, che per parafrasare la filosofa inglese Elizabeth Anscombe potremmo designare quale “fatto bruto” (1958), presenta un rapporto di dipendenza, per quanto concerne il significato, dall’aspetto rituale (“fatto non bruto”). A riprova di ciò sappiamo che se un ebreo si è sottoposto, a qualsivoglia età, a un’operazione di circoncisione fuori dal contesto rituale che caratterizza il brit milà, ebbene quella circoncisione, della cui concretezza non si può dubitare, non sarà sufficiente a far uscire il detto ebreo (o il genitore se si tratta di minore) dall’obbligo del brit milà – e per conseguenza questi sarebbe tenuto alla hatafat dam, minimo versamento di sangue e relativa berahà [benedizione]. Questioni di competenza rabbinica, certo. Ciò che qui interessa è che nel caso del brit millà il corpo è oggetto passivo di normazione, la quale trova il suo criterio dirimente nella sinergia con l’elemento simbolico (berahot etc). Una dinamica differente, per quanto concerne la natura del rapporto tra elemento fattuale (corpo) e simbolico (norma) sembrerebbe profilarsi nel caso del Bar Mizva. Qui è anzitutto il corpo, nella sua qualità di “fatto bruto”, a presentarsi quale criterio di riferimento per la formulazione della norma che stabilisce quando l’ebreo diviene, in termini halakici, maggiorenne. Difatti l’età di passaggio è individuata nel compimento dei tredici anni a causa della contestuale (in media) comparsa dei caratteri sessuali secondari sintomatici dell’entrata nella pubertà e dell’inizio della capacità riproduttiva (Mishnah, niddah 6, 11). È dunque un dato fisico, biologico, a orientare la norma che è qui in qualche misura specchio di una realtà da lei indipendente. A riprova di ciò – secondo un movimento inverso a quanto visto nel caso di colui che è circonciso non nel contesto del brit milà – vi è che l’ebreo che abbia compiuto i tredici anni senza, contestualmente, aver celebrato il bar mizva è comunque a tutti gli effetti entrato nella maggiore età religiosa. In questi due casi si ha dunque modo di vedere due differenti rapporti tra fatto bruto e norma. In entrambi i casi al dato tecnico-medico e biologico (circoncisione; pubertà) la norma conferisce significato simbolico; tuttavia nel primo caso vi è un’insufficienza dell’operazione tecnica nei confronti del rito, viceversa nel secondo il passaggio biologico è sufficiente per far ‘scattare’ la norma. Forse perché nel primo caso si ha un intervento dell’uomo, dei suoi riti, sul corpo, mentre nel secondo la norma si limita a recepire un dato biologico?

Cosimo Nicolini Coen