Claude Lanzmann (1925-2018)
Lascia un segno profondo Claude Lanzmann, il grande intellettuale e regista francese scomparso nelle scorse ore, autore tra gli altri del monumentale Shoah.
“Un gigante del ventesimo secolo, in prima linea nella lotta all’antisemitismo e nella difesa di Israele e del suo diritto ad esistere” lo ricorda David Meghnagi, assessore alla Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane la cui amicizia e collaborazione con Lanzmann risale ad alcuni anni fa, in occasione dell’uscita del documentario L’ultimo degli ingiusti che il regista dedicò alla figura del rabbino Benjamin Murmelstein, l’ultimo Decano del Consiglio degli Ebrei di Theresienstadt. Un lavoro cui Meghnagi si è ispirato per approfondire alcuni suoi progetti insieme al figlio Wolf.
“Shoah – riflette l’assessore UCEI – rappresenta un punto di svolta che fa di Lanzmann la bandiera di un peculiare modello di cinema legato alla Memoria: quello in cui ricerca e studio convivono. Un modello che possiamo mettere a confronto con quello rappresentato da un altro gigante, Steven Spielberg, capace di arrivare con qualità ma con una diversa tipologia di offerta al pubblico di massa. Uno scontro, ad altissimo livello, tra cinema europeo e cinema europeo”.
Di Lanzmann ad essere ricordato è anche il suo fermo impegno in favore dello Stato ebraico, anche nel delicato 1967. “L’autorevolezza acquisita grazie all’impegno nella Resistenza, ma anche alcune amicizie influenti come quella di Sartre – spiega Meghnagi – lo aiutarono ad essere voce ascoltata per orientare diverse persone verso una reale consapevolezza dei fatti”.
È commosso Marcello Pezzetti, storico della Fondazione Museo della Shoah di Roma. “Lo conoscevo da una vita – racconta – da quando ancora filmava Shoah. Ci siamo incontrati tantissime volte, abbiamo fatto insieme decine di conferenze. Soprattutto al Memoriale della Shoah di Parigi. Ci tengo a dirlo, litigavamo spesso. Non aveva un carattere facile, d’altronde. Ma siamo stati veri amici, legatissimi”.
Per quanto riguarda Shoah, dice che parlarne come di una visione fondamentale “è a dir poco eufemistico”. Anche per via dell’intuizione apportata in quel contesto: la Shoah bisognava farla raccontare direttamente da chi c’era. Vittime, carnefici e indifferenti.
Tra le emozioni che conserva con più piacere una serata a Roma, ormai diversi anni fa, in cui Lanzmann intervenne al Centro Pitigliani. E poi ancora una conferenza a Verona.
“Serate mai semplici, per via di quel suo carattere ostico. Ma comunque intense, significative, che qualcosa sono sicuro hanno lasciato a chi c’era”. A Pezzetti anche il ricordo di bei momenti conviviali, quando il regista si rivelava nella sua intimità e anche in larghi tratti di una bonarietà non sempre così immediata. “Perdiamo un uomo immenso – conferma – ma non lo dimenticheremo. È mia intenzione far sì che, magari proprio alla Fondazione, possano essere proiettati i suoi lavori a una platea di giovani”.
Impagabile, inimitabile, insuperabile. Sono i tre aggettivi scelti da Claudio Vercelli per definire Shoah, che lo storico torinese vide per la prima volta in Israele (in ebraico, e con sottotitoli in francese). “Un’esperienza – ci dice – che mi sconvolse”.
Quell’opera resta così una pietra miliare, al pari di altre produzioni in diversi campi. “Come il fumetto Maus, di Art Spiegelmann. O ancora il libro intervista di Hanna Krall a Marek Edelman sulla realtà del Ghetto di Varsavia. Opere che – afferma – segnano e aprono una strada”.
Tra le caratteristiche messe in rilievo da Vercelli anche la capacità di Lanzmann di mettere in discussione la sua storia di sinistra e di confrontarsi con le trasformazioni della società francese e il suo aver posto sotto una diversa luce Israele. Anche come necessaria legittimazione dopo lo sterminio perpetrato in Europa. “Scelte e posizioni che – sottolinea – lo misero in forte attrito con altri intellettuali”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(6 luglio 2018)