2022 in Qatar, tra stadi e polemiche

Schermata 2018-07-11 alle 15.16.07C’è un detto in Yiddish che recita più o meno così: “Due montagne non possono riunirsi, ma due persone sì (A barg mit a barg kumt zikh nit tsunoyf, ober a mentsh mit a mentshn yo). Questo a dire che tra esseri umani è sempre possibile venirsi incontro e trovare un terreno comune. Per Israele e Qatar quel terreno potrebbe essere un campo da calcio. I due paesi hanno rapporti diplomatici complicati: la vicinanza del paese del Golfo al regime iraniano è considerato un pericolo da Gerusalemme. E non è un caso se nell’ottobre 2017 i diplomatici israeliani hanno contrastato la
possibile elezione alla presidenza Unesco di un rappresentante qatarino. Il primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato il Qatar di sostenere il movimento terroristico di Hamas, respingendo gli appelli al dialogo con Doha e sottolineando la necessità di un dialogo con gli altri Stati del Golfo, durante un incontro tenutosi nel marzo scorso con i leader delle organizzazioni ebraiche negli Stati Uniti sulla natura delle relazioni tra Gerusalemme e i paesi mediorientali: “È necessario instaurare un dialogo con le forze costruttive nella regione del Golfo – aveva affermato Netanyahu Di certo non parlo del Qatar”.
Doha inoltre finanzia l’emittente televisiva Al Jazeera, aspramente critica della politica israeliana. Posizioni considerate tanto controverse dal governo israeliano da spingere il Premier Netanyahu a minacciare l’espulsione dell’emittente dai confini nazionali. Un provvedimento poi rientrato ma in ogni caso sintomatico di un rapporto difficile con Al-Jazeera e con il Qatar suo finanziatore. Ma Doha ha trovato anche un altro modo per avere uno spazio in Israele (e per irritare alcuni politici): si chiama infatti come la capitale qatarina lo stadio del Bnei Sakhnin, squadra della città araba Sakhnin, nella regione della Galilea. Circa quindici anni fa il Comitato Olimpico Nazionale del Qatar e lo Stato di Israele hanno cofinanziato lo stadio e l’amministrazione locale ha deciso di intitolarlo a Doha. Il coinvolgimento del Qatar doveva dimostrare che le relazioni tra le due nazioni sono pacifiche e con un interesse simile, poi però deteriorate negli ultimi anni. Si vedrà se i Mondiali potrà servire per scaldare i rapporti difficilmente recuperabili fino a che il paese del Golfo non si sgancerà dall’Iran. In ogni caso sulla carta il Qatar ha dichiarato che nel caso in cui Israele dovesse qualificarsi ai mondiali del 2022 i suoi tifosi potranno entrare nel paese senza difficoltà. “Tutte le nazioni che partecipano alla Fifa World Cup sono le benvenute”, ha dichiarato Hassan Abdulla al Thawadi, alla guida del comitato per la Coppa del Mondo 2022 in Qatar, quando gli è stato chiesto se a Israele sarebbe stato permesso di partecipare se si fosse qualificato.
Oltre ai rapporti diplomatici e
sulla legalità dell’assegnazione a Doha della competizione mondiale (un suo funzionario avrebbe pagato diversi rappresentanti Fifa – per un totale di 5 milioni di dollari – perché appoggiassero la candidatura), a preoccupare è anche la condizione dei lavoratori impegnati a realizzare gli impianti per il 2022. Nel 2013 il Guardian ha pubblicato un’inchiesta del giornalista Pete Pattisson sulle pessime condizioni di moltissimi operai del Nepal assunti da alcune imprese edili del Qatar – le stesse che stanno costruendo edifici e stadi per i Mondiali di calcio. Un video mostra le immagini di alcuni edifici sporchi e fatiscenti che servono da dormitori per gli operai, oltre a interviste a lavoratori che raccontano la propria storia. Secondo la ricostruzione del Guardian, molti di questi operai lavorano senza la certezza di essere pagati e in pessime condizioni: sono costretti a lavorare a temperature vicine ai 50 gradi senza avere libero accesso a fonti d’acqua, e molti raccontano di aver subìto punizioni corporali in caso di lamentele. Tra giugno e agosto del 2013 sono morti 44 operai tra quelli impiegati nei cantieri del Qatar, la maggior parte dei quali per arresto cardiaco o incidente sul lavoro. Un anno dopo un rapporto della International Trade Union Confederation intitolato “Le accuse contro il Qatar” aveva fatto una stima terribile: circa quattromila operai immigrati moriranno sul proprio posto di lavoro prima dell’inizio dei Mondiali. Dal 2010 al 2014, affermava il report, le morti sul lavoro avevano già raggiunto quota 1200. Un dato allarmante che mette in ombra gli altri problemi e che da qui ai prossimi quattro anni dovrà essere preso in considerazione.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche Luglio 2018