Ticketless – Ceralacca
Questa settimana vorrei fare l’elogio della ceralacca. Ogni anno, di questi giorni, nelle scuole superiori si celebra il rito, solenne e un po’ ridicolo, del sigillo che sancisce la fine degli Esami di Stato. È il segnale del liberi tutti, la vacanza a portata di sigillo. Imbustati i fogli con gli elaborati, controllato che nei verbali non sia mai che manchi una firma o un timbro a secco, il Presidente mostra trionfale un meraviglioso lingotto rosso producendo l’effetto che nei bambini durante il Seder produce la frase “Si cena!”. Un talismano che odorando di sale, odorando di mare rincuora gli increduli. Estratta la ceralacca il Presidente cerca il timbro della scuola, quello ministeriale. Di solito è sparito (una vera tragedia quando non esistevano i cellulari e la segretaria era in ferie). Il rito spesso richiede ore. Trovato il timbro è il turno di un accendino per fondere la ceralacca, che non si trovava nemmeno quando molti insegnanti fumavano in classe ma tenevano lezioni memorabili e le sigarette elettroniche erano fantascienza pura.
Quel timbro che si imprime nella ceralacca calda è quanto resta della scuola di ieri. Per gli insegnanti più coscienziosi quel sigillo che si induriva era metafora di un lavoro ben fatto, di coscienze plasmate, di un congedo da allievi che ora avrebbero preso la loro strada, senza dimenticare la lezione ex cathedra: sì, le oggi vituperatissime lezioni frontali. Oggi si procede proiettando frasi scritte sulla lavagna elettronica. Invece che prendere appunti i ragazzi fotografano quelle frasi con lo smartphone senza accorgersi che sono le frasi del manuale. Viviamo nell’era del pec, del pof e dei pon, della revisione annuale della carta dei servizi (per i non addetti ai lavori: non è la carta igienica, ma un pdf di un centinaio di pagine che nessuno legge). I prof. di una certa età dovrebbero munirsi di quel magico amuleto rosso, trafugarlo dalle buste ministeriali, tenerlo in mano a scopo apotropaico per tutto l’anno scolastico, come un rosso cornetto partenopeo e agitarlo nell’aria ogni volta che le istituzioni chiedono agli insegnanti di sottrarre tempo alla lettura e allo studio per riempire vuote carte di vuote parole.
Alberto Cavaglion