MEMORIA La forza del racconto

Con i 566 minuti di Shoah Claude Lanzmann inaugura nel 1985 il metodo di narrazione dello sterminio nazista che più si adatta alle testimonianze dei sopravvissuti. Chiunque ha conosciuto, incontrato, parlato o anche solo ascoltato un sopravvissuto sa che la parte più difficile della testimonianza è la descrizione di fatti e personaggi la cui brutalità sfida la comprensione. Dunque raccogliere tali testimonianze implica una duplice sfida: ridurre l’entità delle domande per non creare ostacoli all’esposizione del ricordo e accompagnare il sopravvissuto nel rammentare un orrore che è la più profonda delle ferite. Lanzmann ci riesce con un metodo che somma ricerca storica minuziosa su ogni singola vittima, formulazione scarna delle domande per evitare ogni intromissione nel racconto e grande determinazione nel far rimanere l’intervistato sempre nei binari del racconto di fatti. In questa maniera Lanzmann fa parlare i testimoni della Shoah davanti a una telecamera come se si trovassero con i propri famigliari, gli amici più stretti. Ma non è tutto, perché il regista francese completa il racconto con le testimonianze dei persecutori, come quei contadini polacchi che ricordano di aver offeso i perseguitati mentre erano nei carri bestiame, di aver rubato case e beni ai vicini del villaggio, rivendicando la normalità di tali comportamenti che accompagnarono lo sterminio. Sullo schermo si ha così la sovrapposizione fisica, nello spazio di pochi minuti, della vittima e del carnefice. Entrambi avvolti dall’aspra descrizione della quotidianità del male. Dando, per la prima volta, una visione a tutto tondo della Shoah che resta il miglior antidoto contro chi vuole negare o sminuire quanto avvenne. Per questo nella battaglia immanente per non dimenticare la Shoah l’opera di Lanzmann è destinata a rimanere una risorsa irrinunciabile.

Maurizio Molinari, La Stampa, 6 luglio 2018