Francia-Croazia, la finale e i conti con il passato
In queste ore si scoprirà chi fra Francia e Croazia salirà sul tetto del Mondo del calcio, aggiudicandosi la finale di Russia 2018. Chi non appartiene ai due paesi, negli scorsi giorni ha scelto con quale nazionale schierarsi: c’è chi tifa Croazia perché è la prima volta che arriva in finale e per la sua capacità di essere squadra dimostrata in tutto il mondiale, chi per la Francia per l’estro e la tecnica di alcuni dei suoi giocatori, tra cui Antoine Griezmann e Kylian Mbappé. C’è chi sui social network ne ha fatto una questione politica – facendo anche del bieco populsimo – e chi ha guardato alla finale come un’occasione per incrociare le storie dei due paesi e riflettere sui rispettivi passati. Così ha fatto il Forward, chiedendosi un po’ provocatoriamente per quale delle due squadre gli ebrei debbano tifare. Non che ci sia una risposta reale perché si tratta semplicemente di calcio, ma il Forward ha messo in luce il rapporto di Francia e Croazia con la minoranza ebraica. “La storia della Francia con gli ebrei è tutt’altro che immacolata. Sebbene abbia la particolarità di essere il primo paese europeo ad aver emancipato i nostri antenati, conferendo loro pieni diritti nel 1791, l’antisemitismo non è un fatto raro tra i Galli”, scrive il giornalista Pj Grisar, ricordando l’affaire Dreyfus così come la Francia di Vichy. Da parte croata, la popolazione cristiana del paese conviveva pacificamente con gli ebrei fino alla loro espulsione, insieme alla maggior parte dei protestanti, nel 1456. “Sotto gli Asburgo, – scrive Grisar – agli ebrei fu proibito stabilirsi nel nord della Croazia, ma per tutto il XIX secolo il popolo del Libro guadagnò terreno verso la piena cittadinanza. Nel 1873 fu loro concessa l’uguaglianza giuridica e nel XX secolo acquistarono una certa importanza come comunità minoritaria”. Poi arrivò la Seconda Guerra Mondiale e le persecuzioni contro gli ebrei in Croazia per mano degli Ustascia, le forze collaborazioniste del nazismo cui Hitler affiderà il governo del neonato Stato Indipendente di Croazia sorto con la complicità del fascismo. “Gli Ustascia non erano solo collaborazionisti, dettarono le proprie politiche razziali e furono attivi nell’uccidere i propri ebrei, gestendo i propri campi di sterminio, dove morirono 32.000 ebrei”. Oggi a Zagabria, a Fiume, a Spalato e in altri centri oggi vivono numerose Comunità ebraiche, capaci di ricostruirsi nonostante la Shoah e nonostante le altre guerre che hanno diviso e martoriato i Balcani. Realtà coraggiose che non temono anche di levare la voce contro i politici nazionali: “sia nel 2016 che nel 2017, – ricorda il Forward – gli ebrei croati hanno boicottato la Giornata della Memoria nel paese, in quanto ex presidenti e attuali ministri hanno dimostrato di voler sminuire il ruolo della nazione balcanica nella Shoah e hanno fatto ben poco per arrestare un’impressionante crescita di sentimenti neonazisti”. Il quotidiano ebraico ricorda ad esempio come nell’aprile del 2016 l’ex presidente croato Ivo Josipović, abbia scelto di deporre a Jasenovac dei fiori su una targa per commemorare i soldati caduti durante la guerra d’indipendenza croata. La targa contiene le parole “za dom spremmi”, ovvero un saluto Ustascia, e la città in questione – Jasenovac – fu anche la sede del più grande Lager della Croazia. Qui furono assassinati tra i 12mila e i 20mila ebrei, tra i 45mila e 52mila serbi, 15-20mila Rom e Sinti. Un luogo di morte che un documentario revisionista – elogiato dal Ministro della Cultura, Zlatko Hasanbegović – ha definito come un semplice campo di lavoro. Parole inquietanti e gravi che dimostrano come in Croazia sia ancora necessaria da parte delle istituzioni una presa di coscienza rispetto alle responsabilità del passato. Responsabilità che la Francia ha pubblicamente riconosciuto, anche con parole chiare dell’attuale presidente Emmanuel Macron rispetto alla pagina nera della Repubblica collaborazionista di Vichy. Questo non vuol dire che al di là delle Alpi non vi siano problemi oggi di antisemitismo. Anzi. I tanti episodi registrati di terrorismo contro gli ebrei e di violenza antisemita negli ultimi anni sono il segno di una società che al suo interno deve ancora combattere seriamente virus dell’intolleranza e del fanatismo. Uno strumento possibile per farlo, potrebbe essere il calcio quando è interpretato come valore sportivo e non come occasione di violenza come accade troppo spesso in Europa, anche negli stadi croati e francesi.
Le considerazioni del Forward non sono tanto un invito a tifare per l’una o l’altra squadra ma a riflettere attraverso una partita sulla storia delle due nazioni e dei rispettivi problemi con l’antisemitismo.