Shir shishi – Sul monte Gilboa
Una delle tragedie più amare della narrazione biblica si svolge sulla terra arida del Monte Gilboa. Il re Shaul, oramai privo della benedizione di Dio e del suo profeta Shemuel, combatte da solo la sua ultima battaglia. Da giovane pastore ha risposto piuttosto imbarazzato alla chiamata del profeta che lo unge con l’olio reale e lascia le bestie per diventare il primo re di un gruppo di tribù a cui manca la nozione politica di identità unitaria e il senso di responsabilità condivisa. Ma le favole terminano inaspettatamente e ben presto un altro pastore, il bel ragazzo David, dagli occhi belli e dai capelli di fuoco, conquista il cuore di Michal, la figlia di Shaul, e poi di tutto il popolo. Il re perde su tutti i fronti, sia come statista sia come uomo d’onore.
E ciò nonostante preferisco Shaul a David o a Shlomo, con il suo folto harem in stile assolutamente pagano. Shaul ha perso l’esercito, i suoi comandanti, l’amato figlio e nella solitudine più profonda si toglie la vita da eroe. Solo un ragazzo amalekita, uno straniero maledetto, appartenente alla discendenza della casa di Esav (parte della stirpe che genererà anche il malvagio Haman) gli rimane accanto impaurito e altrettanto solo. La poesia di Lea Naor, musicata da Yossef Hadar rievoca la coreografia del Monte Gilboa e ci consola per la morte di un eroe perdente.
L’arida estate giunse a tempo debito
sul monte Gilboa.
Saul si appoggiò alla lancia
sul monte Gilboa.
Solo un ragazzo straniero era con lui
solo un ragazzo dei figli di Amalek.
Arida e calda, arida e calda
è l’estate nella valle.
La terra è color carbone
in estate nella valle.
Forse fu lo scirocco
forse fu l’ora del crepuscolo
forse un tramonto d’oro
come oggi e alla stessa ora.
La valle si apriva ai suoi piedi
sul monte Gilboa.
L’estate allora era come ora
sul monte Gilboa.
Di fronte il Tabor
e lontano il monte Hermon,
come se il tempo non fosse trascorso
sul monte Gilboa.
Le stesse rocce, rocce riarse
sul monte Gilboa.
Sarah Kaminski, Università di Torino