Società – Normalità adulta
Ho recentemente assistito a un Bar Mitzwah a Torino. In una Comunità piccola è ormai una rarità. Ma di questa Comunità in particolare apprezzo grandemente la sobrietà anche negli eventi più lieti: a mio avviso dovrebbe essere presa a esempio dagli altri. A cominciare dagli inviti. La famiglia ha scelto di non stampare cartoncini di partecipazione. In questa occasione si è limitata a diramare un messaggio via e-mail e whatsapp. Il risultato è stato che chi doveva esserci, chi veramente è vicino al festeggiato, c’era. Le Tefillot si sono potute svolgere con grande calore, ma senza la gazzarra di chi interviene senza capire, per puro dovere sociale e finisce presto per annoiarsi. Ma soprattutto senza l’imbarazzo del “vengo anch’io? No, tu no” perché non hai ricevuto l’invito formale. Questo complesso è tanto più sentito quanto più piccola è la Comunità: qui può accadere che frequentatori abituali disertino addirittura la Tefillah se sanno di un invito che non hanno ricevuto. Al Qiddush tutti i presenti erano indistintamente invitati. Ma andiamo con ordine. Per la mattina di Shabbat il Bar Mitzwah ha degnamente preparato due chiamate della Parashah. L’indispensabile per fare una figura più che dignitosa. Spesso il Bar Mitzwah è sentito come una gara di abilità fra chi si limita alla lettura di pochi versetti (“poverino”!) e chi invece è in grado di fare sfoggio dell’intera pericope settimanale. Peccato che in molti casi l’obbligo sociale che il proprio figlio non sia da meno degli altri o addirittura li superi non solo vada a detrimento di una preparazione “vera” al Bar Mitzwah, ma risulti per lui in una fatica improba senza senso. Molti ragazzi leggono con fatica l’ebraico pur frequentando le Scuole ebraiche e accumulare chiamate nella loro testa richiede uno sforzo immane. Una volta ho chiesto esplicitamente a uno di loro poco dopo il Bar Mitzwah: “ne prepareresti un’altra?” “Noooo” è stata la comprensibile risposta. Meno male che il Bar Mitzwah dovrebbe servire ad avvicinare i nostri figli al Bet ha-Kenesset! Al termine della lettura della Parashah il Bar Mitzwah ha tenuto una Derashah di commento. A mio avviso è questo un momento di grande importanza formativa sotto almeno tre diversi aspetti. 1) Deve studiare per preparare il discorso; 2) deve trasmettere gli insegnamenti ricevuti e 3) deve parlare in pubblico. I rabbini presenti gli hanno fatto eco con le loro prolusioni augurali e questo dovrebbe aver contribuito, almeno nelle intenzioni, a creare un’atmosfera di Torah intorno a lui. Il tutto si è concluso in modo assai sobrio con la Berakhah sul capo del Bar Mitzwah. Molti ritengono che questo momento vada enfatizzato oltre misura, facendolo oggetto quasi di una cerimonia nella cerimonia. Sono personalmente persuaso che ciò non sia opportuno, per non meno di tre diversi motivi. 1) Senza nulla togliere alla sua festa, si deve parimenti abituare il Bar Mitzwah al fatto che il ruolo da lui assunto quel giorno non è qualcosa di unico, eccezionale, ma semmai la prima di innumerevoli volte. Egli entra in quella che dovrebbe essere la sua normalità di persona adulta e partecipe. 2) Si ha l’impressione che l’enfasi sia dovuta anche alla consapevolezza non dichiarata che il Bar Mitzwah sia vissuto come l’ultimo evento del ciclo della vita prima del proprio funerale. Francamente mi rifiuto di pensarla così. Continuo a credere che prima o poi questo ragazzo si sposerà con un’ebrea e che vi sia spazio e tempo per nuovi e anche più intensi festeggiamenti. 3) Assistendo a certe cerimonie del genere in passato vi ho visto una brutta copia delle confermazioni riformate. Su questo punto ogni commento è superfluo: non è ciò che vogliamo. L’Uscita dall’Egitto è il Bar Mitzwah del popolo ebraico. Il Bar Mitzwah è un momento di grande euforia in senso religioso. Si indossano i Tefillin, si promettono mari e monti, sarò un buon ebreo, ecc ecc.. I nostri Maestri spiegano che mentre lo Yetzer ha-Ra’, l’Istinto del Male è presente nel bambino fin dalla nascita, lo Yetzer ha-Tov, l’Istinto del Bene entra in noi per la prima volta al Bar Mitzwah. E come non destinargli un’accoglienza degna del suo nome? Ma gli idilli, si sa, sono destinati a durare poco. Il dissidio fra il vecchio e il nuovo inquilino, fra lo Yetzer ha-Ra’ e lo Yetzer ha-Tov così diversi fra loro è ben presto destinato a degenerare in una vera e propria guerra. L’Istinto del Male è simboleggiato da ‘Amaleq. Questa guerra non è più affrontata in modo soprannaturale, come ai tempi dell’Egitto, ma impegna, se la si vuole vincere, tutte le nostre forze. La scoperta dell’età adulta comporta allettamenti, tentazioni, lusinghe, pigrizie alle quali dobbiamo sapere resistere. Non tutti ci riescono, perché non sono sufficientemente corazzati nell’affrontare la guerra di ‘Amaleq e si perdono strada facendo. Dobbiamo sapere trovare nel nostro intimo una via di accesso alla Torah. Ma per arrivare a questo occorre un impegno costante di studio e di applicazione. È stolto chi pensa che l’impegno verso l’Ebraismo finisca con il Bar Mitzwah. Solo chi farà sua la Torah vincerà la guerra contro ‘Amaleq e farà proprio il dono della Torah. Per questo i Dieci Comandamenti sono scritti al singolare. Si deve arrivare al punto che ciascuno di noi dica: osservo la Torah perché ci credo e la sento mia, non perché me lo dicono i genitori, gli insegnanti di scuola, il rabbino. Solo così facendo ci garantiremo un futuro ebraico.
Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, luglio 2018