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Dicono i Maestri: “[dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme] non vi è per il Santo e Benedetto Egli Sia nel mondo se non quattro ammoth (due metri) [quadrati] di Halachà soltanto” (Berachoth 8a). Ma altrove è detto: “non vi è per il Santo e Benedetto Egli Sia nel mondo se non il tesoro del timore del Cielo” (Berachoth 33b). A questo punto sorge una domanda: quale dei due aspetti è il principale?
Lo studio della Halachà è il mezzo e il timore di D-o è il fine. Uno è la conseguenza dell’altro e le due cose sono dipendenti l’una dall’altra. Attraverso lo studio della Halachà pratica giunge dentro di noi il timore del Cielo. La spiritualità è l’obiettivo, non il presupposto, perché “l’uomo vuoto [ignorante, vuoto di valori] non ha timore del peccato” (Avoth 2), e “se non c’è sapienza non c’è timore” (Avoth 3). E’ fondamentale non dimenticare però quale è il nostro fine: il timore di D-o perché è scritto: “peccato per colui che non ha un cortile ma si sforza di costruire il cancello per il cortile” (Yomah 72b), Rashi spiega che lo studio della Halachà non è altro se non un portone di entrata per il timore di D-o, su questa base è bene occuparsi prima di tutto dello studio della Halachà al fine di giungere al timore del Cielo.
Lo studio della Halachà e della sua metodologia interpretativa specificatamente giuridica può apparire ai profani troppo puntiglioso, complesso, trascurabile, noioso, oppressivo, insipido. Non pochi sono portati a chiedersi il motivo per cui i Maestri si spingano a discutere fino ai minimi dettagli. La ragione è piuttosto semplice: se si prende la Torah veramente sul serio, se si ha veramente timore di D-o, allora ogni dettaglio ha un’enorme rilevanza spirituale. Di conseguenza colui che studia in modo approfondito la Halachà comprende il grande timore del Cielo dei nostri Maestri.
Lo studio influisce sulla nostra percezione spirituale della realtà e porta all’azione, all’osservanza scrupolosa, con Kavvanah, dei dettagli delle Mitzvoth.
Ed è bene studiare seguendo la gerarchia delle fonti e la metodologia specifica: Torah, Mishnah, Ghemarah, Rishonim e Acharonim, al fine non soltanto di comprendere il “cosa fare”, ma anche il “perché del fare”, quindi comprendere la logica intrinseca nella interpretazione dei Maestri che ha portato a stabilire la Halachà pratica in un certo modo.
Colui che studia Halachà ogni giorno, ha la certezza che avrà parte nell’Olam HaBah, come è detto: “le vie del mondo sono Sue”, non leggere “vie” (Alichoth) ma “Halachoth” (Meghillah 28b).

Paolo Sciunnach, insegnante

(23 luglio 2018)