I social e gli untori
Dev’essere davvero alquanto sgangherata la famosa, potentissima lobby ebraica, se l’ebreo più influente del mondo, Mark Zuckerberg – come ricordato sulla newsletter di giovedì 19 luglio – si mostra così seraficamente indifferente del fatto che il suo formidabile strumento di comunicazione (nonché di formazione, o manipolazione, di personalità e coscienze) venga sistematicamente utilizzato dagli untori asserzionisti (il modo in cui io chiamo i negazionisti, perché, con le loro aberranti ‘negazioni’, non fanno altro che ‘asserire’ l’esistenza di quel nauseabondo veleno che, insieme, negano e propagano), che usano FB come megafono e centro di reclutamento. Nessuna rimozione, dice Zuckerberg, perché va comunque preservata “la libertà di espressione, anche di chi è nel torto”. E va bene, “pecunia non olet”.
D’altra parte, questa della difesa della libertà di asserzionismo in nome della libertà di parola è un’argomentazione ricorrente, che tutti conosciamo. Ma è completamente sbagliata.
Ritengo interessante, al riguardo, riportare le lucide e osservazioni di uno dei più illustri penalisti italiani, Giuliano Balbi, che ha efficacemente demolito questa falsa credenza, in un mirabile intervento (di futura pubblicazione) su “Reati di opinione, negazionismo e propaganda fascista” pronunciato – sfidando, va detto, la larga maggioranza dei suoi colleghi – lo scorso 7 aprile, presso l’Università di Firenze.
La dottrina penalistica, infatti, come ricorda Balbi, riterrebbe, in prevalenza, la repressione dell’asserzionismo in contrasto con il principio di libertà di opinione, tutelato dall’art. 21 della Costituzione, che “non può tollerare limitazioni se non quando sia adeguata a trasmutare in azioni violente. Il che qui non accade, se non alla luce di ipotetici, e comunque inammissibili, anticipi di tutela”. L’asserzionismo sarebbe un “pensiero puro”: com’è stato detto, “non sarà il migliore dei pensieri, ma esiste la libertà di pensare il male, ancor più se si tratti di un pensiero contrario ai principi costituzionali. Anzi, tanto peggiori, infondati, razionalmente indifendibili sono i pensieri e le opinioni, tanto più meritano tutela”. E poi “non si può fissare per legge una verità predeterminata la cui mancata accettazione dia luogo a un reato, il Parlamento non può scrivere la Storia”, se non “al prezzo di operare un grave attentato alla libertà di pensiero, di reprimere le opinioni non allineate”, di “ritornare alla punizione degli eretici, mettendo in campo opzioni di stampo evidentemente autoritario”. “Un’eticizzazione del sistema” sarebbe “incompatibile con la laicità dello Stato”, e saremmo in presenza non della “punizione di un reato”, ma “di un sacrilegio”.
E ancora: l’imposizione di una verità di Stato farebbe “venir meno la fiducia che ognuno deve riporre nel free marketplace of ideas”: non sarebbe concepibile, nel nostro riordinamento democratico, una sorta di “via di mezzo tra il diritto penale del nemico e un diritto penale d’autore”. Di fronte alle idee sbagliate, “la risposta di una democrazia matura è comunque il dialogo”, e perché, poi, “si dovrebbe fare eccezione ai principi generali proprio per il negazionismo della Shoah?”. La sanzione penale dell’asserzionismo sarebbe illogica, addirittura segno di “una sorta di isteria punitiva”.
Le citazioni, riportate da Balbi, continuano, e certamente provengono, in larga parte, da studiosi di alto livello e di sicura fede democratica. Ma sono d’accordo al 100% col Collega e carissimo amico (il cui valore è insidiato unicamente dalla famiglia Camilla, di cui ho avuto modo di parlare su queste pagine), laddove fa notare come tutte queste argomentazioni – così come quella di Zuckerberg – vadano completamente fuori bersaglio nel fare riferimento al concetto di “libertà di opinione”, perché l’asserzionismo è tutto, fuorché un’opinione: “Ci siamo seduti al tavolo dei reati di opinione – scrive Balbi -, seguendo in qualche modo le sue regole, senza accorgerci che avevamo a che fare con una fattispecie di falso”. “Liberato il campo dal sempre evocato, mai così impropriamente, concetto di opinione, il problema va piuttosto riformulato: esiste un diritto costituzionale a dire il falso, sostenerlo, diffonderlo, un diritto perfettamente corrispondente, nell’ampiezza, alla libertà di opinione? La risposta è sicuramente negativa”.
Invitando a leggere, quando sarà pubblicato, l’articolo di Balbi, chiuderei questa nota ricordando, per quel che conta, il mio pensiero al riguardo (che ho già avuto modo, in altre occasioni, di esporre), che si può sintetizzare in due semplici punti:
a) l’asserzionismo, come ben spiega Balbi, c’entra con le opinioni come il cavolo con la merenda;
b) le cose che possono uscire dalla bocca, o dalla penna, di una persona, giuridicamente rilevanti, sono di tre tipi: le opinioni, le offese e le istigazioni a delinquere. Dire che Napoleone ha vinto la battaglia di Waterloo è un’opinione, che non può certo essere sanzionata; dire di qualcuno che è fatto di sterco è un’ingiuria, ed è sanzionabile su denuncia dell’interessato; dire che la Shoah non è avvenuta è un’istigazione a delinquere, un reato che nessuno stato serio potrebbe mai astenersi dal reprimere. Anche se, certo, la sanzione penale, da sola, non basta.
Francesco Lucrezi
(25 luglio 2018)