…marrani

Quando, verso la fine di “Farenheit 451” il protagonista Guy Montag riesce a fuggire e trova rifugio presso il fiume, incontra un gruppo di persone che ricordano a memoria i libri, uno ciascuno, in modo da salvare quanto possibile del patrimonio letterario dell’umanità. Nel mondo descritto da Ray Bradbury e rappresentato sul grande schermo da François Truffaut, infatti, è il possesso di libri il crimine più grande. Di conseguenza, l’unico forziere in grado di conservare i tesori della tradizione letteraria è l’interiorità; la via della resistenza al regime è quella della memoria individuale e isolata.
Nel recente “Marrani. L’altro dell’altro” (Einaudi), Donatella Di Cesare mette a fuoco il tema dell’emigrazione interiore dei criptoebrei in età moderna. Con le espulsioni degli ebrei dai regni iberici e dall’Italia meridionale, tra Quattrocento e Cinquecento, prende forma definitivamente una nuova divisione nel mondo cristiano: non più quella che identifica l’altro nell’ebreo, ormai espulso, ma una divisione interna alla cristianità stessa che fa perno sul sangue e vede l’altro nell’ebreo convertito, il marrano. La conversione, nella grande maggioranza dei casi imposta con la violenza fisica e comunque vincolata a una pressione difficilmente sopravvalutabile, come già a suo tempo suggerito da Maimonide apre la strada dell’emigrazione interiore, che conduce a una identità nuova: non più pienamente ebraica, ma neppure cristiana. Questa identità lacerata segna l’impossibilità, per i marrani, di una appartenenza piena e la scissione del sé.
I marrani sono costretti a celarsi nella società che li circonda e che in nome dell’ideologia razzista della “limpieza de sangre” li rifiuta. Il loro è un ritiro silenzioso, un secolare isolamento, una esclusione imposta e cercata. Eclissi, esilio nell’esilio. È un ebraismo nascosto privato delle dimensioni politica e comunitaria, un ebraismo per sottrazione nel segno della rinuncia e del sacrificio, un ebraismo in cui i digiuni si moltiplicano e la gioia è sostituita dal senso della colpa. La dissimulazione e l’abbandono delle cerimonie e dei segni visibili ebraici segnano l’esperienza marrana che trova una valvola di sfogo nell’introspezione. “Mirar por dentro”, guardare all’interno di se stessi, significa da una parte inoltrarsi sempre più lungo la via del nascondimento, dall’altra un cammino interiore alla ricerca dell’anima. La campionessa di un simile esercizio spirituale, in larga misura femminile, nella Spagna della Controriforma è Teresa d’Ávila, marrana dal ramo paterno.
Non tutti i marrani, però, imboccano il sentiero stretto che conduce verso le profondità dell’anima. La rottura forzata con la comunità e la tradizione ebraiche, da un lato, e l’impossibile inclusione nella società cattolica circostante, dall’altro, con un conseguente isolamento esteriore e interiore, consegnano i marrani a se stessi. Se religione indica innanzi tutto l’azione di tenere insieme (re-ligio), la perdita dell’appartenenza comunitaria si pone all’origine della perdita della trascendenza e progressivamente al rifiuto tout court della dimensione religiosa. Si staglia all’orizzonte, per la prima volta dopo molti secoli, la possibilità di un mondo di pura immanenza.
Per questi motivi, argomenta Donatella Di Cesare, la scissione di cui sono protagonisti i marrani apre la strada della modernità. “Chi sono io?”, è la domanda che si pongono gli esclusi. L’intimo segreto del ricordo, che con il passare degli anni e delle generazioni ha sempre meno contenuti da ricordare, si trasforma nel ricordo del segreto. Del ricordo, in fine, rimane il solo imperativo: zakhor.

Giorgio Berruto

(26 luglio 2018)